Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Solennità e feste

 

Maria ss. Madre di Dio

(1 gennaio 2006)

 

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Nm 6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

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L’inizio del nuovo anno, che cade nell’ottava del Natale, è celebrato con la festa della maternità divina di Maria che, dando alla luce il suo bambino, Verbo fatto uomo, ha irradiato sul mondo la ‘benedizione’ di Dio, il suo Figlio Unigenito. Tutto il nuovo anno è posto sotto quella benedizione che il Signore ha rivelato a Mosè: “Ti benedica il Signore e ti protegga…” (Nm 6,22-27) e che si è compiuta con la nascita di Gesù dalla Vergine Maria. È la stessa benedizione che Gesù ci insegna con la preghiera del Padre nostro, benedizione nella quale poter comprendere tutta la nostra vita, la nostra storia, la storia dei nostri fratelli, la nostra storia comune. Si tratta di una benedizione larga, onnicomprensiva, che copre tutte le cose e tutto di ogni cosa, oltre la quale non c'è più nulla di significativo per il cuore, il quale non sopporta che qualcosa possa sussistere fuori di essa. E la missione che Gesù affida ai suoi apostoli mira a rivelare, a rendere percepibile, a far gustare ai cuori quella benedizione perché si radichino in essa e non possano più vivere se non a partire da e dentro di essa. 

Come canta l’antifona di ingresso “Oggi su noi splenderà la luce, perché è nato per noi il Signore; Dio onnipotente sarà il suo nome, Principe della pace, Padre dell’eternità: il suo regno non avrà fine”, intendendo: su di noi splende la luce della gioia di Dio che manifesta il suo amore agli uomini; così ci appare il nostro Dio: onnipotente nell’amore, amore che costituisce la nostra pace, un amore che viene dall’eternità e che non verrà mai meno. Di questa esperienza è intessuta la ‘benedizione’ e a questa esperienza richiama. La Vergine è colei che ha vissuto perfino fisicamente quella benedizione, di lei si è impregnata e sull’umanità l’ha fatta risplendere, intercedendo ora presso il suo Figlio, come recita la colletta, affinché ci ricolmi del suo Spirito “perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono”. Ma qual è il dono di Dio all’umanità se non il suo Figlio prediletto? Qual è la gioia che Dio dona all’umanità se non quella di condividere con l’umanità l’amore del suo Figlio prediletto?

Quando Gesù proclamerà ai discepoli: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” alluderà proprio a quella ‘benedizione’ che si compie nel mondo. Il bene è frutto di quella benedizione. E la benedizione è quel Figlio prediletto, nel quale il Padre ha tutto il suo compiacimento e che rivela il suo amore immenso per gli uomini. Le opere sono buone quando fanno risplendere quel Figlio, quando rivelano l’amore di Dio all’umanità, quando portano al cuore la conoscenza di quel Figlio, quando l’amore di quel Figlio ha conquistato tutta la mia umanità. L’opera buona che rende gloria a Dio, cioè che fa conoscere Dio nella sua paternità, è il Figlio fatto carne. Lo sapeva l’anima della Vergine e perché si compisse quel mistero di Dio ha consegnato tutta se stessa. In quella consegna è celata tutta la potenza di intercessione per l’intera umanità perché anche per l’umanità non vale altro mistero, non esiste altro compimento. Lo dice anche il salmo a commento del brano del libro dei Numeri: “su di noi faccia splendere il suo volto, perché si conosca sulla terra la tua via”. L’umanità conoscerà la via di Dio, conoscerà la paternità di Dio accogliendo quel Figlio venuto a rivelare il vero volto di Dio. Della soddisfazione di questa attesa dell’umanità la comunità dei credenti è responsabile.

San Paolo, nella sua lettera ai Galati, rivela che il Figlio nella carne è venuto ‘nella pienezza del tempo’. L’espressione non si riferisce solamente all’evento della nascita di Gesù dopo una lunga preparazione. L’esperienza della conoscenza del Figlio rende l’uomo capace di accogliersi come figlio di Dio, di sentirsi guardato dallo sguardo di predilezione di Dio per ogni uomo, al di là del tempo, solidale con l’umanità di tutti perché formiamo un’unica cosa con l’umanità di quel Figlio prediletto. Proprio questa esperienza ci fa vivere in pienezza il tempo, ci fa capaci di scoprire e di portare tutta la grazia del tempo dato, percependo ogni istante dentro quella pienezza di tempo. Non c’è più motivo di angosciarsi per il nostro tempo, per il tempo che passa, per le ferite del tempo, quando la percezione del tempo è vissuta a partire da quella ‘benedizione’ che attraversa la nostra vita e ne costituisce il tesoro di senso.