Quinto ciclo

Anno liturgico B (2014-2015)

Tempo Ordinario

 

VI  Domenica

(15 febbraio 2015)

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Lv 13,1-2.45-46;  Sal 31;  1Cor 10,31-11,1;  Mc 1,40-45

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I testi biblici parlano di lebbra, le preghiere di peccato. Questa è la corrispondenza da cogliere, intuendo la natura del peccato nell’orrore della lebbra.  E la corrispondenza risalta a partire dalla compassione di Gesù che rinnova lo scenario interiore in cui vivere la vita.

Il lebbroso aveva un terribile statuto particolare. Dice il libro del Levitico: “Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: ‘Impuro! Impuro! Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento” (Lev 13,45-46). Davanti al lebbroso che si fa avanti e si presenta a Gesù contravvenendo alla legge, antichi codici riportano la lezione: ‘sdegnato’, invece che la lezione ‘ne ebbe compassione’. Nel caso del lebbroso, la sua malattia comportava direttamente una impurità tanto da venir separato dalla comunità. Oltre il peso sociale dell’esclusione, la lebbra comportava l’esclusione dal culto, dall’accesso alla santità di Dio che la Legge definiva in termini di partecipazione alla vita del popolo santo di Dio e al culto del vero Dio. Quando Gesù guarisce il lebbroso, non guarisce semplicemente un malato, ma modifica radicalmente la condizione interiore del malato restituendolo ad una vita santa. Proprio qui si mostra il prodigio che Gesù opera, che va ben al di là di quella guarigione.

La vita santa, quella in rapporto alla santità di Dio goduto nel suo desiderio di comunione con noi, non è più definita secondo i termini della legge. La discriminante tra santo e non santo si sposta e i confini sono radicalmente cambiati perché Dio si è fatto prossimo a noi nella sua compassione. Il nesso guarigione/purificazione, da leggere in rapporto alla beatitudine: “beati i puri di cuore perché vedranno Dio”, acquista  la luminosità della tenerezza di Dio che libera e ci rende capaci a nostra volta di tenerezza luminosa per l’uomo.

Nel racconto parallelo di Matteo, Gesù guarisce il lebbroso subito dopo la discesa dal monte delle beatitudini, dove con forza aveva proclamato il suo Regno. E le beatitudini sono la rivelazione della fraternità in Dio, quando veniamo guidati dallo Spirito Santo. Guarire dalla lebbra vuol dire allora ricevere la rivelazione che è giunto a noi il regno di Dio, vuol dire che possiamo tornare a non avere paura di Dio e del prossimo, vuol dire ritornare a vivere in umiltà e mitezza, in libertà e gratuità, toccati da Dio.

In quel ‘Lo voglio’ proferito da Gesù non è da leggere soltanto la compassione del Signore per un uomo malato e angosciato, ma l’ansia di riportare il regno di Dio nel cuore dell’uomo, la fretta e l’ardore di mostrare come l’amore di Dio che raggiunge i cuori fa risplendere in modo nuovo l’umanità che li sostanziano. È come se dicesse: ‘ardo dal desiderio di mostrarvi quanto è grande l’amore del Padre’, ‘bramo che il suo amore vi raggiunga’, ‘voglio che la vostra umanità risplenda di tutta la sua luce’. Nel suo volere va letto il desiderio di compiere il disegno del Padre, di riscattare gli uomini non dalle malattie, ma dal peccato, di cui la malattia della lebbra era il segno per eccellenza. Tanto che quando il Signore Gesù si presenta, nella sua Passione, come uomo dei dolori, sono le parole del profeta a risuonare, accorate ma tremende: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia ...” (Is 53,2-3). Sono le parole confacenti a un lebbroso. Il Signore si è addossato i nostri mali da portarne tutto l'orrore, come un lebbroso.

La colletta ci fa pregare: "Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide e dalle discriminazioni che ci avviliscono". Dividere e avvilire sono le due caratteristiche della malattia della lebbra. Chi ne era affetto era allontanato dal consorzio degli uomini perché impuro, capace cioè di contagiare col suo male. I peccati nostri hanno lo stesso destino: insidiano la fraternità, irrigidiscono i rapporti, contaminano il cuore da renderlo inaccessibile al cuore degli altri, separano ed opprimono, impediscono al Volto di Dio di risplendere. Per questo il peccato è orribile: rende la vita paurosa e temibile. Così la purità, con Gesù, viene definita come spazio luminoso, spazio che torna a risplendere (=guarigione) per rapporti fraterni pacifici, dove il Padre è visto nel suo amore per noi. Ad occupare l’atmosfera del cuore non c’è più l’immondezza dei demoni, ma lo splendore del Figlio di Dio che permette all’umanità di compiersi finalmente e glorificare così il Padre.

Quando il lebbroso guarito, nonostante l’invito contrario di Gesù, non riesce a frenare il bisogno di annunciare a tutti la sua guarigione, il testo annota: “si mise a proclamare e a divulgare il fatto”. In realtà però il testo dice semplicemente: “si mise a proclamare e a divulgare la parola”. È la parola di Gesù diventata per lui fatto. Non si annunciano semplicemente parole, ma fatti che rivelano la potenza della parola. Quello che parla ai cuori sarà sempre la Parola, capace di operare in chi ascolta le stesse cose meravigliose di cui porta testimonianza chi annuncia.

Per questo la preghiera caratteristica della liturgia di oggi è il salmo 32: “Beato l'uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato. Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno ... Confesserò al Signore le mie iniquità e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato”. L’audacia del lebbroso che, contravvenendo alla legge, si avvicina a Gesù, corrisponde nel salmo all’audacia del peccatore che decide di manifestare il suo peccato. La compassione di Gesù che ottiene la guarigione/purificazione del lebbroso corrisponde alla misericordia perdonante di Dio che fa la beatitudine del peccatore, il quale ritrova la gioia dell’alleanza con il suo Signore. E i Padri commentano: “Brevissima è la regola: piace a Dio colui cui piace Dio” (Agostino); “Lui che si dispiace di se stesso soddisfa il Signore poiché quando noi ci scontriamo con noi stessi cerchiamo la verità, ma quando noi cerchiamo di lodare noi stessi le nostre parole sono piene di falsità” (Cassiodoro); “Una persona retta accusa se stessa sin dall’inizio del suo discorso” (Evagrio Pontico). Senza dimenticare che, se l’uomo arriva a manifestare il suo peccato, è perché la misericordia di Dio già ha lavorato il suo cuore, che è pronto a tornare luminoso.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura   Lv 13,1-2.45-46

Dal libro del Levìtico

 

Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli.

Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: "Impuro! Impuro!". Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento».

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 31

La tua salvezza, Signore, mi colma di gioia.

Beato l'uomo a cui è tolta la colpa

e coperto il peccato.

Beato l'uomo a cui Dio non imputa il delitto

e nel cui spirito non è inganno.

 

Ti ho fatto conoscere il mio peccato,

non ho coperto la mia colpa.

Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»

e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.

 

Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!

Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!

 

Seconda Lettura  1 Cor 10,31 - 11,1

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.

Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.

 

Vangelo  Mc 1, 40-45

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!».

E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.