Quinto ciclo

Anno liturgico B (2014-2015)

Tempo Ordinario

 

XXVIII  Domenica

(11 ottobre 2015)

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Sap 7,7-11;  Sal 89;  Eb 4,12-13;  Mc 10,17-30

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Lo sbigottimento dei discepoli davanti alle parole di Gesù è pure il nostro sbigottimento. Domandiamoci però subito: la domanda del giovane ricco e la risposta di Gesù ricoprono lo stesso ordine di preoccupazione interiore? Oppure, ancora: la domanda di sbigottimento degli apostoli (“E chi può essere salvato?”) ricopre lo stesso ordine di preoccupazione dell’intervento di Pietro (“Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”)?

Sembra che l’orizzonte della richiesta del giovane ricco sia limitato. Non è soddisfatto delle sue ricchezze e della sua vita, e per questo corre da Gesù, ma la vita eterna che mostra di volere è assai diversa da quella che Gesù chiama l’entrare nel regno di Dio. È come se non riuscisse a distinguere il comandamento dalla ispirazione che l’ha dettato. Il dramma dei credenti viene proprio dal fatto che si può praticare il bene e non arrivare mai a gustarne il frutto. La messa in guardia risuona nell’affermazione di Gesù: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”.

Ciò significa che si possono fare atti buoni senza diventare buoni o, meglio, fare i comandamenti senza partecipare alle segrete intenzioni per cui Dio ci ha dato quei comandamenti e così non veniamo messi a parte del suo segreto e del desiderio del suo cuore, non diventiamo mai intimi suoi. Lo spartiacque tra quei due livelli è costituito da quel ‘vieni e seguimi’ nel senso che accettare di seguire il Signore Gesù significa essere attirati dal Padre, significa porre il segreto della propria vita nell’invio di quel Figlio che è stato dato per noi, significa fidarsi di Colui che ci si fa incontro dalla parte di Dio per ritrovare la propria umanità guarita e riscattata. Se accettiamo di seguire il Signore è perché qualcosa di Lui ci ha affascinato, qualcosa ha parlato al nostro cuore nel senso di percepire di trovare felicità e compimento in ciò che ci chiama ad essere, in ciò che ci chiama a fare. Impariamo a riceverci dal nostro futuro perché la chiamata del Signore cela una sua promessa che col tempo si rivelerà. E noi acconsentiamo proprio a questa rivelazione che ci viene dal futuro.

Di per sé la posizione del giovane ricco e dei discepoli si equivale. In fondo, pensano ancora come il giovane ricco. La differenza risiede nel fatto che i discepoli sono però capaci di provare a credere a Gesù, capacità che permetterà al loro cuore, a tempo debito, di condividere i segreti di Dio che in Gesù si manifestano, lasciandosi conquistare totalmente. Pietro non pretende qualcosa se sottolinea cosa ci guadagneranno dall’aver abbandonato tutto per seguire il loro Maestro. Dichiara semplicemente che a loro non è ancora dato di godere il frutto della loro rinuncia. E Gesù gli risponde con la promessa che ciò avverrà sicuramente e in abbondanza, a patto che seguano il Maestro fino in fondo, fino a conoscere nell’esperienza del loro cuore la prima beatitudine, ripresa dal canto al vangelo: “Beati i poveri in spirito, perché di esse è il regno dei cieli” (Mt 5,3).

È per questo motivo che Gesù, desideroso di avere amici che condividono quei segreti, invita il giovane. Non si tratta tanto di lasciare tutto, quanto di venire dietro a Gesù, l’Inviato sul quale riposa tutta la compiacenza del Padre e nel quale anche gli uomini possono gustare la benedizione di quella compiacenza. Il vendere i propri beni allude al fatto che non sono quei beni ad assicurarci il Bene cercato dal cuore. Non che sia necessario disfarsene (Gesù ha accettato con sé discepoli senza aver imposto loro di lasciare i beni!), ma che è necessario rinunciare a preferire i beni al Bene. Si potrebbe dire che il senso della nostra vita si gioca non nel voler fare il bene, ma nel farlo per entrare nel segreto di Dio e il segreto di Dio che ci rivela il suo amore per noi è proprio quel Figlio che è stato dato per noi.

Ora, non è possibile all’uomo entrare nel segreto di Dio. Solo Dio ce lo può ottenere, Lui che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio perché anche noi, in Lui, possiamo godere della sua gioia. In questo senso si capisce bene la tristezza di Gesù davanti alla tristezza del giovane ricco che se ne va disilluso: il giovane rifiuta l’ingresso in una gioia che aveva intravisto e di cui si rassegna a non godere più. La conseguenza sarà che i comandamenti eseguiti non saranno mai per lui motivo di intimità e di gioia del cuore. E per questo non può ancora entrare nel Regno, che gli è balenato davanti.

La prima lettura illustra come sia da intendere questa impossibilità per l’uomo di ‘salvarsi’, cioè di entrare in intimità con Dio e vivere in comunione con lui e con tutti i suoi figli. Se Salomone prega per ottenere la sapienza vuol dire che la sapienza non è una conquista umana. Il salmo responsoriale lo mostra chiaramente. Parla di ‘saziarsi di grazia’, di ‘manifestazione della gloria di Dio’, di ‘consistenza’ dell’agire dell’uomo. Grazia, gloria e consistenza, che esprimono la rivelazione dell’amore di Dio per l’uomo, rivelazione che in Gesù si manifesta in tutto il suo splendore. Accogliere Gesù significa accogliere la sapienza di Dio che è splendore di amore per l’uomo. Tutto ciò che ha a che fare con quello splendore nella vita degli uomini parla della sapienza che ha lambito il cuore dell’uomo e lo rende splendente. A paragone con questa sapienza, le ricchezze e ogni altro bene di cui godere nella vita non costituiscono nulla di davvero significativo per il cuore. Salomone lo sa e prega ardentemente per partecipare a quella sapienza.

E se l’antifona di ingresso proclama, eco del salmo 129: “Se consideri le nostre colpe, Signore, chi potrà resistere? Ma presso di te è il perdono, o Dio di Israele”, vuol dire che l’uomo non può accedere alla sapienza sulla base dei suoi meriti, non può conoscere la sapienza a partire dal suo buon comportamento; vuol dire che si accede alla sapienza con il riconoscere il bisogno del perdono, che non equivale semplicemente a riconoscere la colpa, ma a riconoscerla davanti a Qualcuno che ci vuol far dono di Sé.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

 

Prima Lettura  Sap 7, 7-11

Dal libro della Sapienza

 

Pregai e mi fu elargita la prudenza,

implorai e venne in me lo spirito di sapienza.

La preferii a scettri e a troni,

stimai un nulla la ricchezza al suo confronto,

non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,

perché tutto l'oro al suo confronto è come un po' di sabbia

e come fango sarà valutato di fronte a lei l'argento.

L'ho amata più della salute e della bellezza,

ho preferito avere lei piuttosto che la luce,

perché lo splendore che viene da lei non tramonta.

Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;

nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

 

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 89

Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo per sempre.

Insegnaci a contare i nostri giorni

e acquisteremo un cuore saggio.

Ritorna, Signore: fino a quando?

Abbi pietà dei tuoi servi!

 

Saziaci al mattino con il tuo amore:

esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.

Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti,

per gli anni in cui abbiamo visto il male.

 

Si manifesti ai tuoi servi la tua opera

e il tuo splendore ai loro figli.

Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:

rendi salda per noi l'opera delle nostre mani,

l'opera delle nostre mani rendi salda.

 

Seconda Lettura  Eb 4, 12-13

Dalla lettera agli Ebrei

La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.

Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.

 

Vangelo  Mc 10, 17-30

Dal vangelo secondo Marco

[In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre"».

Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?».

Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».] Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».