Quinto ciclo

Anno liturgico B (2014-2015)

Tempo Ordinario

 

XII  Domenica

(21 giugno 2015)

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Gb 38,1.8-11; Sal 106; 2 Cor 5,14-17; Mc 4,35-41

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La liturgia collega l’immagine di Gesù che comanda al vento e al mare con quella di Dio che parla a Giobbe in mezzo all’uragano. Non viene sottolineata semplicemente la potenza di Dio: sarebbe banale l’esibizione di potenza da parte di Dio che domina il mare, pur così terribile. Se Dio parla di mezzo al turbine a Giobbe (siamo alla fine del libro, quando Dio ormai ha conquistato Giobbe all’incontro con lui e lo elogia davanti ai suoi amici perché ha pensato più rettamente di loro) è per introdurlo al mistero di un incontro che apre al senso del vivere. La vita è assai più misteriosa di quanto siamo portati ad ammettere. Così Gesù, che si è messo a dormire sulla barca nel lago in burrasca, non è destato dai discepoli per lasciarli a bocca aperta davanti al suo potere sul mare.

L’antifona di ingresso ci fornisce la finestra di luce appropriata: “Salva il tuo popolo e benedici la tua eredità, e sii la sua guida per sempre”. Si tratta del v. 9 del salmo 27/28, la cui versione recente, più in linea con il testo ebraico e greco, suona: “Salva il tuo popolo e benedici la tua eredità, sii loro pastore e sostegno per sempre”. Questa invocazione risuona alla fine della liturgia eucaristica celebrata secondo il rito bizantino, dopo che i fedeli hanno ricevuto la comunione e il sacerdote invoca sui fedeli la benedizione di Dio: “O Signore, tu che benedici coloro che ti benedicono e santifichi quelli che hanno fiducia in te, salva il tuo popolo e benedici la tua eredità. Custodisci tutta quanta la tua Chiesa, santifica coloro che amano il decoro della tua casa…”. L’intervento di Gesù per calmare il mare allude proprio al suo essere Pastore (vedi Gv 10) che non solo raduna e custodisce le sue pecore, ma dà anche la sua vita per loro.

Il passo della tempesta sedata comporta più livelli di lettura. Si inserisce anzitutto nella storia dei discepoli. Questi hanno accettato di stare con il loro Maestro, lo stanno imparando a conoscere e Gesù si premura di introdurli poco a poco nel suo mistero. Nella stessa giornata, i cui eventi coprono il racconto dei capitoli 4 e 5 di Marco, sono riunite sia la proclamazione delle parabole sul regno che la realizzazione di alcuni miracoli. Quella parola di Gesù che illustrava la realtà del regno di Dio nelle parabole e nelle spiegazioni private ai suoi discepoli era la medesima che aveva il potere di calmare la tempesta, guarire l’indemoniato e l’emorroissa, risuscitare la figlia di Giairo. Di fronte a quelle parole e a quella parola potente, i discepoli non possono non domandarsi, profondamente toccati nel loro intimo: davanti a chi ci troviamo? Chi è dunque costui? È il primo significato del brano. Il canto al vangelo ci introduce alla condivisione dei sentimenti dei discepoli riportando l’esclamazione della gente di fronte al miracolo di Gesù che risuscita il figlio della vedova di Nain: “Un grande profeta è sorto tra noi, e Dio ha visitato il suo popolo” (cf. Lc 7,16) e prelude allo stupore dei commensali di fronte al comportamento di Gesù che rimanda la peccatrice perdonata nei suoi peccati: “Chi è costui che perdona anche i peccati?” (cf. Lc 7,49).

Ma il brano si inserisce anche nella storia di Gesù. Lui dorme sulla barca in mezzo alla tempesta e viene svegliato dai discepoli spaventati. L’annotazione non ha semplicemente il sapore di cronaca vissuta, ma di accesso a un mistero più profondo. Il mare in tempesta assume il valore simbolico delle potenze del male che Dio domina. In effetti, i verbi usati da Marco nel descrivere la scena non si addicono tanto ad un’azione di potenza sul mare, ma si riferiscono all’azione di un esorcismo: ‘minacciò’, ‘taci’, verbi che si ritrovano in altre esperienze di esorcismo narrate nei vangeli. L’allusione alla lotta contro il male è evidente. E quando Dio svelerà tutta la sua potenza contro il male? Quando si addormenterà sulla croce e attraverso quel sonno sconvolgerà il regno degli inferi. La morte in croce di Gesù viene spesso percepita come un sonno perché poi si sveglia, perché poi risuscita e su di lui la morte non avrà più alcun potere e il male è vinto.

C’è pure un’allusione alla storia dei credenti, che si sentiranno molte volte oggetto del rimprovero, amorevole, del Signore: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Potremmo rendere: perché avete così paura del male? Oppure: forse che non vi fidate di me? Temete che vi inganni? Gesù è amorevole nel fare il rimprovero perché sa che il cuore dell’uomo, per quanto desideri la vita, ha paura di viverla temendo l’inganno e che occorre un lungo tragitto per collocarsi stabilmente nella fiducia. É la nostra storia.

Di fronte alla scena evangelica, possiamo anche farci un’ulteriore domanda: perché i discepoli hanno avuto paura? Detto in altre parole: quando il male comincia a ghermirci? Sappiamo che il male serpeggia dentro di noi e non è un problema, sappiamo che ci lambisce; ma quando comincia ad avere la meglio su di noi? Un particolare del racconto ci può illuminare. I discepoli hanno dimenticato che quella traversata l’aveva ordinata Gesù. È Gesù che ordina: “Passiamo all’altra riva”. Nel passo parallelo di Matteo è tanto evidente che si dice: “Salito sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono” (Mt 8,23). Tutto ciò che quella traversata comporta sta dentro il comando di Gesù. Se i discepoli non avessero completamente dimenticato che era stato Gesù a chiedere loro di iniziare la traversata, probabilmente non si sarebbero lasciati sorprendere dalla paura, che li ha fatti sentire soli, in balia delle onde. La fede è appunto percezione di compagnia, una compagnia di alleanza. Non che l’uomo non provi più paura di fronte al male, ma se la vive in compagnia del proprio Signore è tutt’altra cosa. Così è la nostra vita, una traversata tra i marosi, all’interno e all’esterno. Vivere la vita dentro un’obbedienza a un’alleanza che sperimentiamo a nostro favore significa allora non permettere al male di ghermirci, significa non essere in balia degli inevitabili marosi. Sarebbe il senso della scena nella sua valenza ecclesiale: la barca è la chiesa che attraversa il mare di questo mondo in subbuglio; sebbene Gesù dorma, è sulla barca e la fede lo risveglia e le onde non l’affondano.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

 

Prima Lettura   Gb 38,1.8-11

Dal libro di Giobbe

 

Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano:

«Chi ha chiuso tra due porte il mare,

quando usciva impetuoso dal seno materno,

quando io lo vestivo di nubi

e lo fasciavo di una nuvola oscura,

quando gli ho fissato un limite,

gli ho messo chiavistello e due porte

dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre

e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”?».

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 106

Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre.

Coloro che scendevano in mare sulle navi

e commerciavano sulle grandi acque,

videro le opere del Signore

e le sue meraviglie nel mare profondo.

 

Egli parlò e scatenò un vento burrascoso,

che fece alzare le onde:

salivano fino al cielo, scendevano negli abissi;

si sentivano venir meno nel pericolo.

 

Nell’angustia gridarono al Signore,

ed egli li fece uscire dalle loro angosce.

La tempesta fu ridotta al silenzio,

tacquero le onde del mare.

 

Al vedere la bonaccia essi gioirono,

ed egli li condusse al porto sospirato.

Ringrazino il Signore per il suo amore,

per le sue meraviglie a favore degli uomini.

 

Seconda Lettura  2 Cor 5,14-17

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, l’amore del Cristo ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.

Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.

 

Vangelo  Mc 4, 35-41

Dal vangelo secondo Marco

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.

Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».

Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».