Quinto ciclo

Anno liturgico A (2013-2014)

Tempo Ordinario

 

XXX  Domenica

(26 ottobre 2014)

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Es 22,20-26;  Sal 17(18);  1Ts 1,5-10;  Mt 22,34-40

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Il canto al vangelo (Gv 14,23: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui”) è la finestra di luce che fa intravedere la portata della risposta di Gesù al dottore della legge.

Nella cerchia dei farisei si discuteva sulla possibilità di stabilire una gerarchia tra i vari precetti (gravi o leggeri) o di riassumere tutta la Torà in un unico ‘principio’. La discussione verteva non tanto sul primo comandamento ma sul comandamento grande. La risposta di Gesù unisce il testo di Dt 6,4-5: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” con quello di Lv 19,18: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore” (cfr. anche i passi paralleli, nel contesto più cordiale di Mc 12,28-34 e Lc 10,25-28). Dove sta la novità della risposta di Gesù? La prima novità sta nel raccordare i due comandamenti, dichiarando il secondo simile al primo ed estendendone la portata a tutti gli uomini. L’altra novità consiste nell’uscire dallo schema di riferimento usuale per le Scritture con il porre i Profeti sullo stesso piano della Legge, con l’allusione all’unità delle Scritture che in lui trova ormai la sua chiave di lettura.

La luce, che il canto al vangelo getta sulla risposta di Gesù, fa intravedere  una dimensione ancora più potente nella novità portata da Gesù. Il comandamento allude alla possibile rivelazione del volto di Dio al nostro cuore. Non è la pratica a produrre la rivelazione, ma l’amore che presiede alla pratica e che alla pratica conduce. Perché?

La frase di Gv 14,23 è la risposta di Gesù alla domanda dell’apostolo Giuda: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?”. Una manifestazione che procede da un amore è ravvisabile da chi non partecipa a questo amore? Come suggerisce l’antica colletta della messa di oggi: “Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi”. Quando ilcomandamento grande’ è l’unica parola che il cuore trattiene, quando tutto viene vissuto in rapporto a quello e tutto a quello riconduce, allora avviene secondo la promessa di Gesù: se mi ami, metti in pratica la mia parola e il tuo cuore conoscerà il segreto che a lui è riservato, cioè vivrai della comunione con il tuo Dio e saprai quanto è grande il suo amore per tutti, amore che costituisce il senso di tutti i comandamenti. La pratica dei comandamenti è l’espressione di questo amore nel tempo e nello spazio e niente e nessuno ci può sottrarre questo amore. È evidente che questo solo in Gesù si compie assolutamente, ma la sua promessa è che la stessa cosa varrà per i discepoli, se stanno in lui.

Potremmo riassumere il senso dei due comandamenti, ama Dio e ama il prossimo, in questo modo: il mondo possa scoprire l’amore del Padre e così vivere la dimensione della fraternità nella sua radicale luminosità. Il senso dell’amore al prossimo sta tutto nel fatto di farsapere al mondo’ che l’amore del Padre è per lui. Per questo, se il primo comandamento esprime la radice di un’umanità che ha scoperto l’amore del Padre, il secondo ne segnala l’orizzonte di tensione, perché l’amore del Padre è per il mondo. Lo scopo della pratica dei comandamenti non è in funzione della mia perfezione, ma dello splendore dell’amore del Padre che a tutti è rivolto e di cui posso ammirare l’accondiscendenza per noi.

In questa prospettiva risulta illuminante anche la prima lettura, ripresa dall’Esodo nella parte che riporta le norme del Codice dell’alleanza, e precisamente rispetto alla cura dei deboli. La vedova, l’orfano e il forestiero sono le categorie di persone essenzialmente ‘deboli’ perché senza protezione. Proclamare allora nel salmo responsoriale: “Ti amo, Signore, mia forza” significa alludere alla forza tipica di Dio che è quella della ‘indulgenza, mitezza, pazienza…’. Chi calpesta il debole calpesta l’amore di Dio che sta con gli ultimi; impedisce a Dio di essere conosciuto in questo mondo. Chi calpesta il debole non conosce Dio.

Il senso delle parole evangeliche di oggi lo spiega stupendamente s. Francesco di Assisi nel suo commento al Padre Nostro: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l’anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell’anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno” (FF 270).

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Es 22,20-26

Dal libro dell'Esodo

 

Così dice il Signore: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d'Egitto. Non maltratterai la vedova o l'orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l'aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l'ascolterò, perché io sono pietoso».

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 17 (18)

Ti amo, Signore, mia forza.

Ti amo, Signore, mia forza,

Signore, mia roccia,

mia fortezza, mio liberatore. R.

 

Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;

mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.

Invoco il Signore, degno di lode,

e sarò salvato dai miei nemici. R.

 

Viva il Signore e benedetta la mia roccia,

sia esaltato il Dio della mia salvezza.

Egli concede al suo re grandi vittorie,

si mostra fedele al suo consacrato. R.

 

Seconda Lettura  1Ts 1,5-10

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell'Acàia. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall'ira che viene.

 

Vangelo  Mt 22, 34-40

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».