Quinto ciclo

Anno liturgico A (2013-2014)

Tempo Ordinario

 

XXIX  Domenica

(19 ottobre 2014)

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Is 45,1-6;  Sal 95(96);  1Ts 1,1-5;  Mt 22,15-21

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La vita di Gesù volge al termine e il confronto-scontro con i farisei si fa implacabile. Cercano di incastrarlo con un pretesto politico per consegnarlo all’occupante romano e farlo fuori. Dal loro punto di vista, la strategia è vincente, perché al processo contro Gesù sarà proprio un’accusa di tipo politico a farlo condannare. La questione, scottante allora, era il tributo che ogni cittadino ebreo doveva pagare all’occupante romano. Non era una questione di esosità di tasse, ma di umiliazione di un popolo. Gli zeloti, l’ala intransigente dei farisei,  proibiva ai suoi simpatizzanti di versare il tributo e saranno proprio loro la miccia dell’insurrezione di Gerusalemme nell’anno 67 che causerà, tre anni dopo, la distruzione della città ad opera dei Romani.

Si tratta della tassa pro capite (in latino, census) che i romani esigevano da tutti gli abitanti (uomini, donne e schiavi) di Giudea, Samaria e Idumea, dai 12/14 anni fino ai 65. La tassa versata corrispondeva a un denaro d’argento, l’equivalente della paga giornaliera di un operaio, pagata con una moneta speciale che portava l’immagine dell’imperatore Tiberio (14-37 d.C.) con l’iscrizione: TIBERIUS CAESAR DIVI AUGUSTI FILIUS AUGUSTUS PONTIFEX MAXIMUS (Tiberio Cesare, augusto figlio del divino Augusto, sommo sacerdote).

Come al solito, Gesù evita il tranello ma non evita la domanda e la sua risposta lascia pieni di ammirazione i suoi stessi avversari: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Gesù non ha furbescamente evitato il tranello: se rispondeva sì, si sarebbe attirato l’antipatia del popolo; se rispondeva no, si sarebbe messo contro l’autorità. Gesù, pur conoscendo la malizia della domanda, risponde in verità.

Il senso della sua risposta è illuminato dal canto al vangelo, tratto da un passo della lettera ai Filippesi 2,15-16: “Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita”. I credenti in Cristo devono al mondo la luminosità dell’annuncio evangelico, segnale di quella vita eterna che Gesù ci partecipa con il suo amore perché conquisti tutti. Come dicesse: la vita che vivete nel mondo tenetela aperta alla gloria di Dio, le vostre azioni devono restare aperte all’Eterno se non volete restare oppressi e opprimere. Del resto, è caratteristico che nella tradizione ebraica il salmo 95, cantato dopo la lettura di Isaia che presenta un re pagano, Ciro, come il servo di Dio mandato a consolare il suo popolo liberandolo dalla schiavitù di Babilonia, sia tra i salmi recitati in famiglia per il ricevimento dello shabbat. Ilsabato’ ci si espone alla luce del Regno perché si possa percepire la presenza del Signore in mezzo al suo popolo, cessando ogni altra attività. Ilriposo’ del sabato allude alla luminosità del Regno che attraversa la vita sebbene le preoccupazioni mondane ce ne impediscono la percezione. L’invito a lodare il Signore nella storia quotidiana è l’invito a vedere la luce del Regno. Come se il cuore, nella preghiera, invocasse la fatica che prolunghi nel quotidiano la luce dello shabbat.

L’elogio che viene tributato a Gesù (“Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno”) non risponde solo alla cattiva intenzione dei suoi accusatori, ma esprime anche la condizione per poter discernere l’eterno nel temporale. Diversamente, la storia soffoca o temerariamente esalta, ma non si apre alla salvezza. Aprirsi alla salvezza, alla fin fine, vuol dire sfuggire alla malizia del potere che vuole tutti ‘soggetti’, senza sapere bene in nome di che cosa. L’aspetto straordinario e straordinariamente potente della presa di posizione da parte di Gesù è dato dal fatto che lui è proclamato come non soggetto a nessuno e tuttavia, lui, di se stesso, si proclama sottomesso a tutti (pensiamo all’immagine di lui che si cinge il grembiule e lava i piedi ai discepoli), servo di tutti perché l’amore del Padre conquisti tutti. La libertà che gli è attribuita gli deriva dalla perfetta comunione con il Padre, che vuole tutti salvi e che lo abilita a vivere la vita nel servizio di questa straordinaria provvidenza di amore per l’umanità. Quando Gesù dice di dare a Dio quello che è di Dio allude proprio a quel Padre da cui lui proviene, che lui conosce, di cui testimonia l’amore e di cui mette anche noi in condizione di essere in comunione. Di qui scaturisce quella libertà che, non rendendoci soggetti alle cose, è capace di aprire gli spazi adeguati perché gli eventi si schiudano all’eternità, cioè a quella dimensione del vivere un amore nella storia perché tutti si possa dire: “Grande è il Signore e degno di ogni lode”.

Rispetto al “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” possiamo allora notare tre cose.

La prima: Gesù riconosce la legittimità dell’autorità dello Stato, ma svincola il potere da una legittimità autoreferenziale. Nell’antichità lo Stato si presentava come fonte dei diritti e dei doveri in assoluto, compresa la sfera religiosa. Gesù spezza l’alleanza tra religione e Stato che il paganesimo e l’impero esigevano.

La seconda: non separa semplicemente Dio e lo Stato, ma riorienta il temporale, la politica, alla dimensione spirituale che è costituita dal bene delle persone; non solo, ma riaggancia la politica all’eterno nel senso che nella storia è in gioco il compimento del piano divino di salvezza per l’uomo. Come dice Giovanni Crisostomo: “Il precetto di dare a Cesare quello che è di Cesare va inteso come riferito a quanto non si oppone al servizio di Dio. Diversamente, non sarebbe più un tributo pagato a Cesare, ma al demonio” (Omelia 70,2 su Matteo).

La terza: il principio di fondo è la sovranità di Dio, il suo Regno donato agli uomini che trascende ogni regno terreno. L’uomo è sopra il cittadino, il prossimo sopra il connazionale, la coscienza sopra la norma, la persona sopra la collettività. ‘Io sono il Signore e non c’è alcun altro’ non significa semplicemente che c’è un solo Dio, ma che tutto ciò che esiste a Lui si riconduce; tutto ciò che è veritiero di Lui solo parla; tutto ciò che ambisce ad essere e a permanere in Lui deve essere fondato; tutto ciò che di vero, di bello, di buono, desideriamo non può avere compimento se non in Lui. Essere discepoli di Cristo significa prima di tutto vedere la vita dal punto di vista di Dio: la possibilità di partecipare al dono del suo Regno nella responsabilità della storia.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Is 45,1.4-6

Dal libro del profeta Isaia

 

Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Per amore di Giacobbe, mio servo, e d'Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c'è alcun altro, fuori di me non c'è dio; ti renderò pronto all'azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall'oriente e dall'occidente che non c'è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n'è altri».

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 95 (96)

Grande è il Signore e degno di ogni lode.

Cantate al Signore un canto nuovo,

cantate al Signore, uomini di tutta la terra.

In mezzo alle genti narrate la sua gloria,

a tutti i popoli dite le sue meraviglie. R.

 

Grande è il Signore e degno di ogni lode,

terribile sopra tutti gli dèi.

Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,

il Signore invece ha fatto i cieli. R.

 

Date al Signore, o famiglie dei popoli,

date al Signore gloria e potenza,

date al Signore la gloria del suo nome.

Portate offerte ed entrate nei suoi atri. R.

 

Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.

Tremi davanti a lui tutta la terra.

Dite tra le genti: «Il Signore regna!».

Egli giudica i popoli con rettitudine. R.

 

Seconda Lettura  1Ts 1,1-5

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicési che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace. Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l'operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.

 

Vangelo  Mt 22, 15-21

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».