Quinto ciclo

Anno liturgico A (2013-2014)

Tempo Ordinario

 

XXVI  Domenica

(28 settembre 2014)

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Ez 18,25-28;  Sal 24;  Fil 2,1-11;  Mt 21,28-32

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Dopo l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme e la cacciata dei venditori dal tempio, i capi religiosi si vogliono sincerare sull’autorità di Gesù: “Chi ti ha dato questa autorità?”. Loro però riconoscono solo la propria, secondo il rimprovero che Gesù aveva mosso loro: “E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?” (Gv 5,44). Così il confronto si fa aspro, preludio al dramma che di lì a breve si scatenerà. Con tre parabole Gesù racconta l’opposizione che incontra nei capi invitandoli al pentimento.

La parabola di oggi, imperniata sul fare la volontà di Dio, prende le mosse dalla morte di Giovanni Battista e dalla sua infuocata predicazione che aveva suscitato un grande movimento di ritorno all’alleanza ma solo da parte dei peccatori; i capi religiosi erano stati ad osservare da lontano. La parabola è tipica del vangelo di Matteo. Chi compie la volontà del padre? Chi acconsente ma poi non fa o chi alla fine fa, anche senza aver acconsentito prima? Non è un invito all’obbedienza in generale, ma una riflessione profetica sulla storia che va dritta al cuore degli ascoltatori. L’applicazione della parabola è chiara. Voi, capi, avete visto che pubblicani e prostitute si sono pentiti e hanno aderito al messaggio del Battista. Ma voi nemmeno vi siete chiesti: quel profeta allora viene da Dio? Le cose che dice sono dette da Dio? Ebbene, succede la stessa cosa con me. Voi vedete le cose meravigliose che compio, ma non volete vedere l’agire di Dio che compie la sua opera di salvezza. Voi l’aspettate da un’altra parte e invece resterete sulla vostra fame.

Cosa significa pentirsi? Il verbo usato, lo stesso che ricorre nell’episodio di Giuda che riporta ai sacerdoti le monete del tradimento, significa ‘ricredersi’, ‘rivedere le cose sotto altra prospettiva’, ‘cambiare giudizio’; si riferisce non tanto alle azioni, ma al senso di quello che sta avvenendo tanto da vedere la vita sotto altra angolatura. Pentirsi significa aprire il cuore al momento di Dio. Per gli ascoltatori di Gesù, pentirsi significava riconoscere che in Giovanni Battista Dio voleva parlare al suo popolo, riconoscere che Giovanni aveva indicato colui che veniva da Dio per riscattare l'uomo dal peccato e portargli la sua salvezza, riconoscere che in lui veniva manifestata la venuta del Regno di Dio.

Dal punto di vista di Dio non ha alcuna importanza che l'uomo riconosca questo partendo da una sua presunta giustizia o da una sua situazione di peccato: l'unica cosa importante è quel riconoscimento, perché da lì scaturiscono i beni di Dio per l'uomo. E la 'giustizia' dell'uomo per Dio non può provenire che da quel 'pentimento' che induce l'uomo ad accogliere prima di tutto la volontà di Dio su di lui, volontà che esprime il desiderio di Dio di stare con gli uomini, indipendentemente da come o dove si trovano. Tutto ciò che si pone al di fuori o contro o a lato di questo pentimento significa dare più importanza all'uomo che a Dio e in definitiva corrisponde a costruirsi un'immagine di Dio che non è veritiera. E se ci si fida di un'immagine di Dio non veritiera si finisce per costruire anche un'umanità che non ha consistenza di verità e perciò fasulla, quando non distorta.

Ma per il cuore dell'uomo non è così agevole conoscere le vie di Dio. Il salmo responsoriale lo proclama esprimendo l’anelito/angoscia del cuore: “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi”. Intendendo: chiediamo non solo di essere illuminati sulla strada da percorrere, ma anche di poterla percorrere, di poter fare ciò che ci è stato indicato. Nel v. 14 dello stesso salmo, seguendo il testo ebraico, diciamo: “Il segreto del Signore è per quanti lo temono e la sua alleanza per farla loro conoscere”. Vale a dire: occorre che il desiderio di Dio e dell’uomo si incontri; che il cuore, prima che alle parole che sentirà da parte del suo Dio, si apra alla volontà di bene che muove il suo Dio nei suoi confronti. Non si può fare la volontà di Dio se non si sente quella volontà amica. Alla fin fine, chiedendo di conoscere le vie del Signore, chiediamo di poter conoscere la bellezza e l’amore di quel Figlio che il Padre ci ha inviato.

Il tutto è fortemente sottolineato dall’inno di Paolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini”. Perché? Perché sia fatta la sua volontà, compiutamente ed il suo amore si riveli al cuore dell'uomo, inducendolo a pentirsi finalmente!

Dire ‘avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù’ e dire ‘la volontà del Padre’ è dire la stessa cosa. Se l’apostolo ci invita ad avere gli stessi sentimenti di Gesù è perché solo in quel modo possiamo riconoscerci nella volontà del Padre, possiamo acconsentire a quella volontà e goderne lo splendore di amore che ci viene riversato e che ci spinge a riversarlo su tutti. Gesù costituisce quel punto di incandescenza nella storia dove la volontà del Padre muove l’umanità e questa risplende per l’amore che l’investe e di cui si capacita. Così, fare la volontà del Padre è ritrovarci in Gesù, partecipi del suo essere inviato al mondo per mostrare la grandezza dell’amore del Padre per tutti (cfr Gv 3,16) e per riunire i figli di Dio dispersi (cfr Gv 11,52). È credere in lui da vivere del suo stesso Spirito, è aderire a lui, abitare in lui ed essere abitati da lui.

Le parabole delle domeniche successive dicono fino a che punto l’umanità di Gesù vive la volontà di salvezza per gli uomini da parte del Padre, allorquando il dramma si consuma. L’accento però non sarà posto sulla sofferenza che dovrà subire, ma sullo splendore di amore di cui si fa testimone. Avviene per i discepoli come per Gesù: se il Figlio, secondo le parole di Paolo ai Filippesi, ‘svuotò se stesso assumendo una condizione di servo’, lo può fare perché gode di un amore. Quello ‘svuotamento’ è la condizione perché l’amore si compia e trascini tutti nello stesso movimento. Ci si può svuotare dei propri peccati come delle proprie sicurezze; ciò che conta è svuotarsi perché quell’amore torni a splendere, perché Dio possa essere adorato come il Salvatore, ricco di misericordia per noi. Quello che i capi del popolo e i farisei, interlocutori di Gesù, non avevano potuto capire. E lo svuotarsi attira la grazia perché assimila al movimento che Gesù ha vissuto e che Dio vive in se stesso.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Ez 18, 25-28

Dal libro del profeta Ezechiele

 

Così dice il Signore:

«Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?

Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso.

E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 23

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,

insegnami i tuoi sentieri.

Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,

perché sei tu il Dio della mia salvezza;

io spero in te tutto il giorno.

 

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia

e del tuo amore, che è da sempre.

I peccati della mia giovinezza

e le mie ribellioni, non li ricordare:

ricòrdati di me nella tua misericordia,

per la tua bontà, Signore.

 

Buono e retto è il Signore,

indica ai peccatori la via giusta;

guida i poveri secondo giustizia,

insegna ai poveri la sua via.

 

Seconda Lettura  Fil 2, 1-11

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési.

[ Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi.

Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.

Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù ]:

egli, pur essendo nella condizione di Dio,

non ritenne un privilegio

l’essere come Dio,

ma svuotò se stesso

assumendo una condizione di servo,

diventando simile agli uomini.

Dall’aspetto riconosciuto come uomo,

umiliò se stesso

facendosi obbediente fino alla morte

e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò

e gli donò il nome

che è al di sopra di ogni nome,

perché nel nome di Gesù

ogni ginocchio si pieghi

nei cieli, sulla terra e sotto terra,

e ogni lingua proclami:

«Gesù Cristo è Signore!»,

a gloria di Dio Padre.

 

Vangelo  Mt 21, 28-32

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo».

E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.

È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli».