Quarto ciclo

Anno liturgico C (2012-2013)

Tempo di Quaresima

 

5a Domenica

(17 marzo 2013)

 

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Is 43,16-21;  Sal 125;  Fil 3,8-14;  Gv 8,1-11

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Con quale sincerità e intensità sarebbero risuonate sulla bocca di quella donna spiata, scoperta, strattonata, minacciata, giudicata e poi lasciata sola perché potesse essere perdonata da Gesù, le parole del salmo: “È stato grande il Signore nell’agire con noi, siamo stati colmati di gioia” (Sal 125,3, secondo le antiche versioni greca e latina)! È da dentro questa gioia inattesa, confusa, che si apre per il cuore uno spazio di intimità tutto nuovo, secondo quella novità di cui parla il profeta Isaia: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?... Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi” (Is 43,19.21). È lo spazio di una ritrovata dignità, che si percepisce dal tono dolce con cui ci viene rivolta la parola in quella intimità di benevolenza con cui veniamo accolti e che ci guarisce dal di dentro: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.

Il canto al vangelo “Ritornate a me con tutto il cuore, perché io sono misericordioso e pietoso” introduce splendidamente al racconto evangelico dell’adultera. L’espressione è del profeta Gioele 2,12-13, ma riprende la rivelazione del nome di Dio a Mosè sul Sinai raccontata in Es 34. Mosè aveva chiesto di vedere la gloria di Dio dopo il peccato del vitello d’oro, contro il quale aveva spezzato le tavole che il Signore stesso aveva tagliato e scritto. La rivelazione del nome di Dio ‘misericordioso e pietoso’ avviene nella tempesta di sentimenti scatenata dal peccato del popolo che Dio avrebbe voluto distruggere, ma per il quale Mosè intercede trovando grazia agli occhi di Dio. Dio è Dio perché è misericordioso e pietoso, ricco nell’amore, esperienza che l’uomo realizza a fronte del suo peccato drammaticamente riconosciuto. Quando Mosè ridiscende con le nuove tavole di pietra, si tratta ormai delle tavole tagliate e scritte dallo stesso Mosè con le dieci parole rivelate. Tra il comandamento e il cuore c’è ormai una specie di distanza, essendo il comandamento avvertito come imposto, distanza che con la nuova alleanza ad opera di Gesù si sarebbe dissolta.

Nell’antica colletta preghiamo: “Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”. All’inizio (forse è meglio dire: lungo il percorso della nostra vita), ancora confusi per il nostro peccato, non riusciamo a sentire l’amore che ci viene donato, non siamo ancora in grado di rispondere a quell’amore con il cambiamento dei nostri comportamenti. Ma la percezione della dignità ritrovata costituisce il punto di partenza nuovo. Tutto ciò che di male abbiamo commesso, se lo mettiamo davanti al Signore Gesù, resta scritto sulla polvere. Soltanto però il male riconosciuto, quello che non viene taciuto o giustificato, resta scritto sulla polvere! Quello che non è riconosciuto, che si mantiene nascosto, che si annida nelle rivendicazioni irose o latenti, resta in cuore e impedisce la scoperta della benevolenza di Dio. Tutti gli accusatori della donna se ne devono andare perché, effettivamente, non sono così stupidi da immaginare di essere senza peccato. Ma essi non hanno potuto fare esperienza della benevolenza di Dio.

Gesù ridà senso al dramma del peccato. Il peccato non è una semplice trasgressione della legge né una questione personale di inclinazioni o scelte. La posta in gioco è assai più alta, ma senza l’esperienza della benevolenza perdonante del Signore non si esce dal tranello che i farisei avevano preparato a Gesù: se si pronuncia per l’assoluzione, va contro la legge; se approva la condanna, va contro l’immagine di Dio che va predicando, con la conseguenza che allora è un falso nuovo profeta, non è degno di credito. Con il peccato non è in gioco semplicemente la nostra vera o supposta rettitudine, bensì la nostra fiducia nella promessa di Dio per noi. Se l’uomo viene condannato per il suo peccato, gli si impedisce di credere alla promessa di Dio per lui; e lo stesso avviene se il peccato è banalizzato. Il peccato, riconosciuto da dentro una relazione col proprio Dio, diventa la porta della grazia.

La logica interiore di questa esperienza è ben descritta da Paolo, nella lettera ai Filippesi: “ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. ... So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro ...”. Non puoi non tendere a ciò da cui è venuto per te il senso della tua dignità. Non puoi più stare riverso sul tuo passato, ormai abbandonato alla polvere: non puoi che guardare al futuro di Dio che viene a te nella condivisione del suo progetto di bene e di salvezza per gli uomini.

L’inganno che può ancora nascondersi nelle pieghe dell’anima resta ormai quello di ‘dimenticare’ il proprio peccato e perdere così la solidarietà con i nostri fratelli peccatori. Il segno di tale dimenticanza è ravvisabile nel momento in cui mi difendo dai miei fratelli, rivendico qualcosa a Dio contro i miei fratelli. Ciò significa che la benevolenza di Dio è diventata per me un diritto e quindi ha perso tutta la profondità dell’intimità con cui mi era stata rivolta. Non per nulla s. Cipriano ricorda, nel suo commento al Padre Nostro, che all’invocazione ‘rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’, la prima cosa che domandiamo non è la generosità per essere capaci di perdonare, ma la coscienza di essere peccatori, bisognosi noi di misericordia. Sentendoci peccatori, non abbiamo titoli per avanzare diritti e possiamo sperimentare in tutta la sua dolcezza il perdono di Dio.

Come invoca la colletta: “ … perdona ogni nostra colpa e fa’ che rifiorisca nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia”, il segno dell’esperienza della benevolenza di Dio è dato dalla gratitudine e dalla gioia che costituiscono l’humus interiore del cuore che si conosce peccatore perdonato, perdonato davanti a Dio, peccatore davanti al prossimo. E allora si realizza quello che l’antica colletta domandava: “ … possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Is 43,16-21

Dal libro del profeta Isaìa

 

Così dice il Signore,

che aprì una strada nel mare

e un sentiero in mezzo ad acque possenti,

che fece uscire carri e cavalli,

esercito ed eroi a un tempo;

essi giacciono morti, mai più si rialzeranno,

si spensero come un lucignolo, sono estinti:

«Non ricordate più le cose passate,

non pensate più alle cose antiche!

Ecco, io faccio una cosa nuova:

proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?

Aprirò anche nel deserto una strada,

immetterò fiumi nella steppa.

Mi glorificheranno le bestie selvatiche,

sciacalli e struzzi,

perché avrò fornito acqua al deserto,

fiumi alla steppa,

per dissetare il mio popolo, il mio eletto.

Il popolo che io ho plasmato per me

celebrerà le mie lodi».

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 125

Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,

ci sembrava di sognare.

Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,

la nostra lingua di gioia.

 

Allora si diceva tra le genti:

«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».

Grandi cose ha fatto il Signore per noi:

eravamo pieni di gioia.

 

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,

come i torrenti del Negheb.

Chi semina nelle lacrime

mieterà nella gioia.

 

Nell’andare, se ne va piangendo,

portando la semente da gettare,

ma nel tornare, viene con gioia,

portando i suoi covoni.

 

Seconda Lettura  Fil 3,8-14

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi

Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.

Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.

 

Vangelo  Gv 8,1-11

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.

Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».