Quarto ciclo

Anno liturgico C (2012-2013)

Tempo di Quaresima

 

4a Domenica

(10 marzo 2013)

 

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Gs 5,91.10-12;  Sal 33;  2 Cor 5,17-21;  Lc 15,1-3.11-32

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Il mistero che s. Paolo proclama essere il contenuto stesso della rivelazione (“Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione”) la parabola del vangelo lo narra splendidamente.

Gesù risponde alle lamentele, che diventano perfino accuse, dei farisei di fronte al suo agire: “I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro” (Lc 15,2). Non si davano pena dei sentimenti di Dio come rivela il profeta Isaia: “Sion ha detto: "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato". Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49, 14-15) Non si ricordavano più il rimprovero che Dio aveva rivolto al profeta Giona per la sua irritazione a causa della pianta di ricino seccata (cfr Gio 4,10-11).

Più che denominare la parabola ‘del figlio prodigo’, dovremmo parlare di parabola ‘del padre misericordioso’ o ‘del figlio ritrovato’. L’accento non è posto sul o sui figli, ma sul padre. La parabola è costruita su tre personaggi: i due figli, il minore e il maggiore ed il padre. I personaggi si caratterizzano tanto per i silenzi che per le parole proferite. Possiamo notare subito che non esiste dialogo diretto tra i due figli, ma solo tra i figli e il padre. Questa parabola, come le due precedenti della pecora e della moneta ritrovate, finiscono sull’invito a condividere la gioia del ritrovamento.

Le parabole, prima che di noi, parlano di Dio, di Dio in rapporto a noi. Siamo a metà del cammino quaresimale e la chiesa si interroga: come Dio agisce con i peccatori? Possono i peccatori trovare salvezza? O, più direttamente: ha diritto alla gioia l’uomo peccatore? In cosa consiste il segreto della gioia? Oppure ancora: come si riconosce la vera devozione?

La risposta a questi interrogativi si potrebbe riassumere così: nel partecipare ai sentimenti di Dio; nel prendere parte alla gioia di Dio che vuole i suoi figli con lui. Ogni altro motivo del proprio agire risulterebbe alla fine discriminatorio tra fratelli e quindi non gradito a Dio. Non per nulla i due figli non si parlano mai direttamente, in quanto il loro rapporto o deriva dalla condivisione dei sentimenti del padre e sarà vicendevolmente benevolo oppure è corroso dalla gelosia tra loro e rivelerà l’incomprensione dei sentimenti del padre.

La parabola è viva e rimane aperta. Possiamo farci allora due domande. La prima: se la comunione con il padre resta il segreto della felicità dei due figli, come si collocano rispetto ad essa? Il figlio minore l’ha disprezzata e l’ha rotta; il figlio maggiore, che sembra averla mantenuta, non l’ha però mai goduta e quindi in fondo anche lui la disprezza. Tutti e due falliscono la loro felicità. Il padre tuttavia accoglie entrambi, segue premuroso entrambi: come corre incontro al figlio minore che torna pentito, così esce per convincere il figlio maggiore a partecipare alla sua festa. La seconda: cosa sarebbe successo se il figlio minore, ritornato pentito, si fosse stizzito per l’atteggiamento del fratello maggiore che non poteva accettare quel trattamento di riguardo del padre a suo favore? Se avesse preteso comprensione anche dal fratello maggiore, non sarebbe stato sincero nel suo pentimento verso il padre. E se il figlio maggiore si fosse sentito solidale con il padre nella sua gioia, avrebbe potuto rivendicare qualcosa per sé? Evidentemente non si è mai trovato, insieme al padre, durante tutto il tempo dell’assenza del fratello, a dire: ‘speriamo non gli capiti qualcosa di irreparabile …”. Il punto è esattamente questo allora: stare solidali con il padre, con la sua premura e la sua angoscia per poter godere della sua gioia.

In questa prospettiva, tutte le annotazioni a proposito dei sentimenti del padre sono particolarmente preziose perché rivelano la natura dell’amore di Dio per i suoi figli. Voglio rimarcare solo due particolari. Del padre si dice che, vedendo da lontano il figlio che tornava, ‘ebbe compassione’, vale a dire: si lasciò commuovere fin nelle viscere. Quel movimento del cuore è così intenso che non lascia respiro al figlio, nel senso che tutto quello che il figlio aveva da dire nella sua vergogna non ha più bisogno di essere ascoltato perché il suo cuore l’ha già accolto e ristabilito nella sua dignità, di nuovo erede di tutti i beni. Dietro tutte le parole della Scrittura sta quello stesso movimento di compassione di Dio per l’uomo; dietro le parole e l’agire di Gesù sta quello stesso movimento, come spesso si annota nei vangeli (cfr Mt 14,14; 18,27; Mc 1,41; 6,34; 8,2; Lc 7,13; 15,20). La stranezza sta nel fatto che l’uomo può cogliere gli effetti di quel movimento di compassione per lui proprio quando gli brucia la vergogna di essersi perso. La conversione inizia con la coscienza di aver disprezzato la sua dignità di figlio e di non meritarsi più nulla, senza però chiudersi in se stesso. L’amore che si riceve non è dovuto, ma ‘sorprendente’.

Del padre si dice ancora che vuole fare festa, che chiama alla festa ed esce per invitare anche il figlio maggiore alla festa. Quella festa è però misteriosa. É la festa della grande cena per gli invitati che non vogliono venire (Lc 14,15-24), la festa del banchetto di nozze che il re vuole per il figlio (Mt 22,1-14). Ma soprattutto è la festa in cui si uccide il vitello grasso. Come non pensare al ‘sacrificio’ del figlio amato, inviato dal padre a riscuotere i frutti della vigna (Lc 20,9-19)? Così, il far festa non richiama semplicemente alla gioia, ma alla gioia dell’amore di Dio che vuole radunare i suoi figli e non teme di vedere il figlio ‘sacrificato’ perché l’amore deve rivelarsi in tutta la sua immensità. La gioia ha a che vedere con l’esperienza di quell’amore sconfinato che solo permette di attraversare il male senza restarne vittime e che in Gesù ha il suo testimone per eccellenza.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Gs 5,9-12

Dal libro di Giosuè

 

In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».

Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.

Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.

E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 33

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,

sulla mia bocca sempre la sua lode.

Io mi glorio nel Signore:

i poveri ascoltino e si rallegrino.

 

Magnificate con me il Signore,

esaltiamo insieme il suo nome.

Ho cercato il Signore: mi ha risposto

e da ogni mia paura mi ha liberato.

 

Guardate a lui e sarete raggianti,

i vostri volti non dovranno arrossire.

Questo povero grida e il Signore lo ascolta,

lo salva da tutte le sue angosce.

 

Seconda Lettura  2 Cor 5,17-21

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.

Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.

In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

 

Vangelo  Lc 15,1-3.11-32

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».