Quarto ciclo

Anno liturgico C (2012-2013)

Tempo Ordinario

 

XXX  Domenica

(27 ottobre 2013)

 

_________________________________________________

Sir 35, 15-17.20-22;  Sal 33;  2 Tm 4,6-8.16-18;  Lc 18, 9-14

_________________________________________________

 

Con la parabola del fariseo e del pubblicano Gesù illustra un altro aspetto del mistero della preghiera. Nel tempo della storia, stando davanti a Dio, gli uomini non sono suddivisi tra giusti e peccatori, ma necessariamente soltanto tra quanti presumono di ritenersi giusti e quanti si ritengono peccatori.

Non si tratta evidentemente di disprezzare le pratiche buone, tanto più quelle inerenti al culto, che del resto procedono dai comandamenti di Dio, ma di svelare la condizione che rende quelle pratiche gradite a Dio e portatrici di frutto per il cuore dell’uomo.

Il brano del Siracide ci offre indicazioni preziose. Il passo tratta delle offerte al tempio e mette in guardia il credente dal presentare al Signore vittime ingiuste, sottolineando che “il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone (letteralmente: la gloria della persona non è nulla davanti a lui)”. Uno può offrire vittime ingiuste in tre modi: a) praticare il rito dell’offerta materialmente senza impegnare la propria vita convertendosi; b) portare una vittima sottratta al povero, frutto quindi di ingiustizia e oppressione; c) presentare una vittima difettosa. Il Signore, che è giudice, vede i cuori e non si lascia ingannare da nessuna gloria esteriore.

Quando il fariseo proclama la sua giustizia, non dice cose false, ma non è retto il suo cuore perché interpreta la sua giustizia come una gloria da esibire e Dio, per il quale la gloria delle persone non conta nulla, non può accogliere la sua offerta. Il fariseo offre una vittima difettosa.

Ma la ragione più profonda della non accoglienza della sua preghiera è un’altra. Basta mettere a confronto la preghiera del fariseo con quella che Gesù innalza al Padre al ritorno dei discepoli da una missione di predicazione: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Almeno tre sono le differenze vistose: la preghiera di Gesù prorompe da un'intimità goduta, esprime solidarietà con Dio e con gli uomini, celebra Dio e non l'uomo. Quella del fariseo è appiattita sull'esteriorità esibita, fa rimarcare la separazione, celebra l'uomo e non Dio. Se nella preghiera di Gesù Dio è benedetto come Padre, in quella del fariseo, la caratteristica che manca, è proprio la proclamazione della sua paternità.

Nella preghiera del Padre Nostro, tutte le richieste sono dirette a Dio, eccetto una : “... come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. A questa richiesta che ci fa Dio rimanda la conclusione della parabola di Gesù: “chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato” (Lc 18,14). Chi è profondamente consapevole del suo peccato e chiede a Dio il perdono, come dice il pubblicano: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, non ha bisogno di smarcarsi dagli altri, non avverte nemmeno che qualcuno sia in difetto verso di lui. Ed è solo a partire da questa consapevolezza che, risalendo all'indietro nella preghiera del Padre Nostro, chiediamo di nutrirci del Pane di vita, di accogliere come desiderio  e criterio supremo di condotta del cuore il mistero di benevolenza di Dio per gli uomini, di farci guidare dallo Spirito e di cercarne il regno, di vivere in maniera che il Nome di Dio sia costantemente glorificato ed allora, come Gesù, potremo chiamare Dio Padre. Questo, il fariseo, non lo può fare. Ma se non fa questo, come può essere gradita la sua preghiera? In realtà la preghiera non tende ad altro se non a far sì che sia rivelata al nostro cuore la verità di Dio, cioè che è Padre.

La difficoltà per noi, provati dalla vita, affaticati e oppressi, sta nel fatto che non è così semplice presentarci davanti a Dio in tutta sincerità da peccatori, come fa il pubblicano della parabola. Vorremmo comunque poter esibire qualcosa di buono o rivendicare qualcosa che ci sarebbe dovuto; eppure, così facendo, non conosceremo mai la vera confidenza in Dio. Sembra questa la ragione per la quale Gesù ci invita a fare credito al prossimo per ottenerlo davanti a Dio.

Il movimento della preghiera non è quello di esibire qualcosa per convincere Dio a venire da noi, bensì quello di confidare nella sua offerta di salvezza, nella sua prossimità. Un passo del profeta Isaia lo esprime chiaramente: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola” (passo, che la versione greca di Isaia 66,2 rende con: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e sul mite…”). E non è Gesù colui che di sé dice: “Venite a me … e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,28-29)? Così, se Gesù è l’offerta di salvezza da parte di Dio, non c’è alcun bisogno di esibire alcunché davanti a Dio; di conseguenza, non c’è più alcun bisogno di separarci dai nostri fratelli, perché possiamo godere insieme la salvezza di Dio. Più un uomo si loda e più piccola è l’immagine di Dio che coltiva; più un uomo si distingue e si separa dagli altri, meno conosce la dolcezza che viene dalla salvezza di Dio.

Il canto al vangelo ci introduce alle parole di Gesù con l’affermazione paolina: “Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione” (cfr. 2Cor 5,19). Come possiamo 'rivelare' la presenza di Dio nel mondo? Come collaboratori della sua opera di riconciliazione. L’annuncio della fede, la celebrazione dei sacramenti, la testimonianza della carità, non tendono ad altro: lasciatevi riconciliare con Dio! Dove ‘riconciliazione’ non significa “Dio si riconcilia con noi, riconcilia se stesso con noi”, ma solo “Dio riconcilia a sé noi”. Dio è in pace con noi, Dio offre la sua pace a noi, Dio ci invita a vivere nella sua pace, riassume la rivelazione del Padre, in Gesù, nella potenza dello Spirito. E quando Gesù conclude la sua parabola con l’indicare il pubblicano ‘tornò a casa sua giustificato’ siamo rimandati a questa suprema verità: Dio offre la sua pace a noi, non noi che dobbiamo rabbonirlo. È questa la ‘buona notizia’, la radice di una gioia nuova, capace di creare comunione con se stessi, con i fratelli, con le cose e gli eventi, in Cristo, nostro Salvatore.

 

§^§^§

 

I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Sir 35, 15-17.20-22

Dal libro del Siràcide

 

Il Signore è giudice

e per lui non c’è preferenza di persone.

Non è parziale a danno del povero

e ascolta la preghiera dell’oppresso.

Non trascura la supplica dell’orfano,

né la vedova, quando si sfoga nel lamento.

Chi la soccorre è accolto con benevolenza,

la sua preghiera arriva fino alle nubi.

La preghiera del povero attraversa le nubi

né si quieta finché non sia arrivata;

non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto

e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 33

Il povero grida e il Signore lo ascolta.

Benedirò il Signore in ogni tempo,

sulla mia bocca sempre la sua lode.

Io mi glorio nel Signore:

i poveri ascoltino e si rallegrino.

 

Il volto del Signore contro i malfattori,

per eliminarne dalla terra il ricordo.

Gridano e il Signore li ascolta,

li libera da tutte le loro angosce.

 

Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,

egli salva gli spiriti affranti.

Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;

non sarà condannato chi in lui si rifugia.

 

Seconda Lettura  2 Tm 4,6-8.16-18

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.

Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.

Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Vangelo  Lc 18, 9-14

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:

«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».