Quarto ciclo

Anno liturgico B (2011-2012)

Tempo di Pasqua

 

4a Domenica

(29 aprile 2012)

 

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At 4,8-12;  Sal 117;  1Gv 3,1-2;  Gv 10,11-18

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La confessione del Risorto come del Vivente, di Colui sul quale la morte non ha più potere, in questo periodo pasquale, comporta due verità strettamente collegate: anzitutto la realtà che Gesù e il Padre siano una cosa sola e poi che Gesù sia il Redentore, cioè Colui che introduce l'umanità alla piena comunione con Dio. La figura del 'buon pastore', come risalta dal brano evangelico odierno, prende tutto il suo spessore se si collega a queste due verità.

Nella colletta preghiamo: "... raduna gli uomini dispersi nell'unità di una sola famiglia". Se il buon pastore è il Vivente, vuol dire che può dare la vita a tutti e Lui solo è capace di darla. L'unità di una sola famiglia deriva da quell'Unico, il Primogenito, che è stato inviato per radunare i figli di Dio dispersi, di cui Pietro dice: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati". Ma l'opera del Figlio non è che il compimento del desiderio del Padre: vedere i figli di Dio, dispersi, radunati in una sola famiglia. E se gli uomini si possono considerare uniti in una sola famiglia non è per la natura comune, ma per il volere divino, per la grazia di partecipare tutti alla stessa vita divina. Ogni altro titolo di unità tra gli uomini finirebbe per causare una ancor più grande divisione perché sancirebbe il predominio dell'ideologia sulla santità.

Interessante, a questo riguardo, l'affermazione della prima lettera di s. Giovanni: "Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è". Si potrebbe intendere così: ancora non abbiamo versato il nostro sangue per l'unità della famiglia umana e quindi non conosciamo ancora nella sua pienezza e radicalità la qualità dell'essere figli di Dio, che ci rende simili al Figlio che di questa pienezza e radicalità è il testimone per eccellenza. Ma quando Lui si sarà manifestato nell'amore che, uniti al Figlio, ci consuma nella stessa opera sua del 'radunare i figli di Dio dispersi', allora scopriremo cosa significa essere simili a Lui, perché saremo una cosa sola con Lui e con il Padre. È la richiesta del canone eucaristico dopo la consacrazione: “dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”. Diventare un solo corpo e un solo spirito, tra tutti, in Cristo, significa vivere in pienezza il desiderio di Dio della comunione con gli uomini. Significa far parte del gregge di Cristo che per questo è venuto, ha parlato, ha operato, ha patito, è morto ed è risorto. Se Cristo è il buon pastore lo è perché non delude nell'offrirci la possibilità di vivere questa comunione in pienezza.

Tra l'altro, risulta essere un buon criterio di discernimento del bene vedere se, nel nostro agire, ci muoviamo nel nome del Signore, vale a dire se custodiamo l'unità della famiglia di Dio, come dice il salmo 117 "benedetto colui che viene nel nome del Signore".

Potessimo, anche noi, di fronte ad ogni tipo di ingiustizia, di afflizione, di oppressione, interiore e esteriore, dire con Gesù: "Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso"! Significherebbe diventare collaboratori con Dio alla sua opera di salvezza, quella di 'radunare' i figli di Dio dispersi; significherebbe non permettere che il nostro cuore ceda alla divisione con qualche fratello scavando fossati o respingendolo lontano da noi, perché in tal caso daremmo più importanza all'agire di un uomo che all'agire di Dio e ci sottrarremmo alla comunione con Lui che non ha altro desiderio se non quello di attrarre alla sua comunione tutti i suoi figli.

L’amore del Padre si rivela in Gesù perché Gesù lascia che quell’amore, che in Lui riposa pieno, si espanda e conquisti tutti fino a far vivere tutti di quello stesso amore. Quando dice che il buon pastore conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono lui allude al fatto che l’amore per loro, frutto dell’amore del Padre che su di lui riposa, è la ragione stessa della sua vita, la ragione che non permette a nessun’altra di avere voce nel suo cuore. E le pecore possono conoscere lui perché conoscono questo suo amore, che rivela loro la bontà di Dio per loro. Ma tale è la dinamica di ogni amore: conosco se la vita, solo se metto a disposizione dell’altro la mia vita potrò conoscerlo perché la conoscenza proviene e conduce all’amore. Non solo, ma che per noi uomini l’esperienza dell’amore risulta possibile a condizione di percepirlo come dono di vita, vita di Dio per noi e vita di noi per il prossimo. Gesù è Colui che dal punto di vista di Dio ci rivela qual è la dinamica dell’amore e dal punto di vista dell’uomo ne svela la profondità e la densità. L’amore ha sempre a che fare con la vita di Dio, con il mistero di Dio. Non è detto semplicemente che Gesù dà la vita a, ma per le pecore. Così, se non percepisco il suo dono per, non potrò viverlo riferito a me, perché lo vivrei in senso egoistico, come se l’amore di Dio servisse semplicemente a far star bene me, bisognoso di amore. Il mistero dell’amore è dato dal rimando al mistero di Dio che vuole tutti gli uomini salvi; è dato dal fatto che Gesù è il Signore di tutti (cfr At 10,36). Per questo Gesù parla di altre pecore che non sono del suo ovile; tutte lui deve condurre, per fare un solo gregge. La dinamica dell’amore è essenzialmente ‘universale’.

Quando dice che può dare la vita e riprenderla e che questo è il comando del Padre suo allude al fatto che dà se stesso senza arrogarsi nessun altro diritto che non sia quello di testimoniare l’amore del Padre agli uomini e così la vita che vive è vita eterna, perennemente vitale, capace di attraversare ogni movimento di morte. E questo corrisponde al volere di Dio per l’uomo, che è chiamato comando. Quando in effetti la riprende, con la sua risurrezione, è per darla a tutti coloro che in lui vedono il mistero della fedeltà di Dio all’uomo, è per far prevalere il volere del Padre che vuole la vita per gli uomini. E perciò noi possiamo avere la vita in abbondanza, cioè la vita secondo quella stessa dinamica di amore di Colui che ce l’ha data. Vale lo stesso effetto anche per noi: per accrescere la vita, occorre darla. Non semplicemente darla a qualcuno, ma darla perché l’amore di Dio per gli uomini torni a risplendere e l’opera di Dio in Gesù si faccia sperimentabile e abbordabile per l’umanità, nostra e degli altri.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  At 4, 8-12

Dagli Atti degli Apostoli

 

In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro:

«Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato.

Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo.

In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

 

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 117

La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.

Rendete grazie al Signore perché è buono,

perché il suo amore è per sempre.

È meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nell’uomo.

È meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nei potenti.

 

Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,

perché sei stato la mia salvezza.

La pietra scartata dai costruttori

è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:

una meraviglia ai nostri occhi.

 

Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

Vi benediciamo dalla casa del Signore.

Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,

sei il mio Dio e ti esalto.

Rendete grazie al Signore, perché è buono,

perché il suo amore è per sempre.

 

Seconda Lettura  1 Gv 3, 1-2

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.

Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

 

Vangelo  Gv 10, 11-18

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».