Quarto ciclo

Anno liturgico B (2011-2012)

Tempo Ordinario

 

14a Domenica

(8 luglio 2012)

 

_________________________________________________

Ez 2,2-5;  Sal 122;  2Cor 12,7-10;  Mc 6,1-6

_________________________________________________

 

I brani scritturistici oggi parlano di occasioni mancate, le antifone e le preghiere parlano invece di occasioni godute e degli effetti della salvezza accolta. L'antifona di ingresso celebra la misericordia di Dio e l'esperienza che tutti gli uomini possono farne dovunque e sempre; la colletta fa pregare perché possiamo riconoscere la gloria dell'amore di Dio nell'umiliazione del Figlio e la sua potenza di consolazione e salvezza nella nostra infermità; alle offerte si prega di poter agire come il Figlio di Dio, nella dinamica di quell'amore che non viene mai meno e di cui ci è fatto dono; all'orazione dopo la comunione si suggella ogni richiesta precedente con la capacità di vivere in gratitudine perché ricolmi dei benefici del Signore, inattaccabili dalla ruggine dei nostri peccati e dalle vicende del mondo.

La meraviglia di Gesù fotografa bene l’atteggiamento dei nostri cuori: “E si meravigliava della loro incredulità”. Da dove proveniva nei suoi concittadini una tale diffidenza nei suoi confronti? Luca sembra suggerire che non abbiano accolto di buon grado il ricordo della preferenza dei pagani da parte di Dio (la vedova di Zarepta di Sidone al tempo del profeta Elia e Naaman il siro ai tempi di Eliseo) e così contrastano la predicazione di Gesù gelosi dei doni di Dio. Per Luca l’esito negativo della prima predicazione di Gesù a Nazaret è la prefigurazione del rifiuto finale di Gesù e della sua morte in croce. Ma Matteo sembra suggerire altro perché il passo di oggi fa da contrappunto alla scelta di Gesù di chiamare sua madre e suoi fratelli i suoi discepoli ai quali “è dato conoscere i misteri del regno dei cieli” (Mt 13,11) con la proclamazione delle parabole del regno. Alla fine però gli ascoltatori non comprendono e Matteo li definisce come coloro che non vogliono essere familiari di Dio, esattamente come i concittadini di Gesù che lo rifiutano.

Qui si inserisce la parola rivolta al profeta Ezechiele nella prima lettura: “Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genia di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”. Il popolo rifiuterà il profeta, ma la presenza del profeta illustra la premura di Dio per il suo popolo. E tutti sapranno che il profeta è in mezzo a loro, non per l’insegnamento che impartisce, ma per la sua testimonianza dell’amore del Padre quando lo uccideranno. Quello che i suoi concittadini non hanno fatto, il salmo responsoriale ce lo mostra come atteggiamento da tenere: “A te alzo i miei occhi … Come gli occhi di una schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi”.

L’episodio della predicazione di Gesù a Nazaret illustra bene la premura di Dio. La scena è racchiusa da due identici sentimenti di valore diametralmente opposto. Si apre con la meraviglia, sospettosa, diffidente, che si tramuta poi in ostilità da parte degli ascoltatori presenti nella sinagoga e si chiude con la meraviglia, dispiaciuta, di Gesù che si vede costretto a fuggire. Marco conclude: “E si meravigliava della loro incredulità”. Una meraviglia, quella di Gesù, però, che non si tramuta in ostilità con la sua fuga, bensì in tenacia e immaginazione per creare nuove occasioni, fino alla fine, come il resto del racconto evangelico proverà, perché i cuori finalmente si aprano all’amore del Padre testimoniato da lui e dalla sua attività ovunque.

Noi non ci accorgiamo che spesso la nostra incredulità nasconde una cattiva idea di Dio. A dire il vero non si tratta realmente di una mancanza di fede, ma di diffidenza, di riserva mentale. Come per i concittadini di Gesù descritti da Luca 4,16-31: gli ascoltatori della sinagoga si sentono offesi quando Gesù ricorda loro che Dio non ha disdegnato i pagani come se questa preferenza comportasse un’accusa ai suoi figli. Così è per noi: è vero che ci accorgiamo che Gesù insegna cose belle, cose degne della massima stima, ma essere disposti ad accoglierlo e seguirlo nella sua rivelazione di Dio e nel suo servizio agli uomini non ci è agevole.

La liturgia ci invita allora a cogliere il nodo essenziale della vita: la salvezza è data dalla potenza di Dio, ma ha bisogno di essere accolta con fede, senza riserve mentali. Il problema più o meno può essere posto così: perché la grazia non compie tutto ciò che promette? Pensiamo al perdono che domandiamo a Dio per i nostri peccati. Perché, pur chiedendolo sinceramente e ottenendolo, non agisce in profondità da trasformarci completamente? Forse che Dio vincola il suo perdono? Non sarebbe morto per noi! Pensiamo alla richiesta di una virtù: “Signore, fammi umile”. Perché dopo la richiesta restiamo ancora in preda all'orgoglio e all'egoismo? Forse che Dio è geloso dei suoi doni? Non ci avrebbe dato il suo Figlio! Ecco dunque la meraviglia di Gesù: la nostra incredulità.

Dio non si stanca però della nostra incredulità perché sa che il nostro cuore ha bisogno di tempo per cedere, per arrendersi, per sciogliere le sue paure, le sue resistenze, le sue ambiguità. L'importante è non lasciare mai il Signore, lasciarsi sempre riaccostare da lui tanto che, come dice la colletta: “sappiamo riconoscere la tua gloria nell’umiliazione del tuo Figlio e nella nostra infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione”. Il movimento suggerito dalla preghiera è appunto quello di imparare a vedere la gloria, cioè lo splendore dell’amore del Padre per gli uomini, proprio nell’umiliazione del Figlio che si consegna agli uomini perché sappiano quanto lui ama il Padre e quanto è grande il suo amore per noi. Il che significa riconoscersi dentro una provvidenza di bene per noi stando solidale con i sentimenti di Dio, in favore dei fratelli. Così facendo, potremo sperimentare la potenza della vita che viene da Dio accogliendo in pace le infermità e le afflizioni della nostra storia perché non ci allontanano dalla comunione con Colui che il nostro cuore cerca e di cui potente è la salvezza.

 

§^§^§

 

I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Ez 2, 2-5

Dal libro del profeta Ezechiele

 

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.

Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”.

Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

 

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 122

I nostri occhi sono rivolti al Signore.

A te alzo i miei occhi,

a te che siedi nei cieli.

Ecco, come gli occhi dei servi

alla mano dei loro padroni.

 

Come gli occhi di una schiava

alla mano della sua padrona,

così i nostri occhi al Signore nostro Dio,

finché abbia pietà di noi.

 

Pietà di noi, Signore, pietà di noi,

siamo già troppo sazi di disprezzo,

troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,

del disprezzo dei superbi.

 

Seconda Lettura  2 Cor 12, 7-10

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.

A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».

Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

 

Vangelo  Mc 6, 1-6

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.

Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.