Quarto ciclo

Anno liturgico A (2010-2011)

Tempo di Pasqua

 

4a Domenica

(15 maggio 2011)

 

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At 2,14a.36-41;  Sal 22;  1Pt 2,20b-25;  Gv 10,1-10

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La liturgia di questa domenica è intessuta sull’immagine del buon pastore (cfr. Sal 22; 1Pt 2,25; canto al vangelo e colletta), sebbene il brano di vangelo si incentri più semplicemente sulla figura della porta: “in verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore”. Il brano appartiene a uno dei discorsi di Gesù con i Giudei, che nel vangelo di Giovanni costituiscono, insieme agli avvenimenti della vita di Gesù, la trama narrativa della rivelazione del Figlio di Dio.

Solo Dio è il pastore di Israele; solo lui guida il suo popolo perché se l’è scelto, l’ha posto in essere, gli testimonia il suo amore di predilezione e ne esige la santità corrispondente. Ogni altro che ambisce a pascere Israele a titolo proprio è ladro e brigante.       Quando Gesù dice che il pastore delle pecore entra per la porta, vuol alludere al fatto che il Padre in lui si fa vedere e in nessun altro: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18); “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (Gv 12,45).

In che senso allora Gesù è la porta? Forse nelle parole di Gesù c’è l’allusione alla ‘porta delle pecore’ che introduceva nell’atrio del tempio di Gerusalemme. Come a dire: io sono il nuovo tempio, il luogo dove poter adorare Dio in spirito e verità. Probabilmente, però, l’episodio del battesimo al Giordano è qui richiamato in tutta la sua valenza rivelativa: si aprono i cieli, discende lo Spirito, si ode la voce del Padre che lo dichiara luogo della sua compiacenza. Gesù è porta tanto da parte di Dio (lui solo, che ha visto il Padre, lo può rivelare) quanto da parte dell’uomo (lui solo costituisce la chiave di senso che manca all’agire dell’uomo perché lui solo lo apre in verità al compimento della sua vocazione all’umanità come rivelazione di Dio nel mondo). Per questo Gesù dice di sé che è venuto a dare la vita in abbondanza, quella vita che costituisce il supremo desiderio dell’uomo. Non semplicemente la vita, ma la vita in abbondanza, ad indicare quella certa qualità di vita che sola colma i desideri dei cuori. Quando Gesù invita a non darsi pensiero della propria vita, del mangiare, del vestire, ma di cercare piuttosto il regno di Dio, allude proprio a quella abbondanza di vita, che costituisce la risposta al bisogno di pienezza che agita il cuore dell’uomo: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32). Con la risurrezione di Gesù, con la scoperta di lui, il Vivente, in mezzo a noi, che si accompagna a noi, che si fa nostro cibo e nostra sostanza, l’anima comincia ad assaporare la portata della compiacenza di Dio, che si riversa, sì, sul Figlio, ma in lui su tutti noi. La vita ormai non può essere vissuta che in quel ‘piacere’ di Dio di fare comunione con noi, in Cristo.

E proprio qui si coglie la consistenza del dono di Dio all’uomo. Gesù, come buon pastore, non dà semplicemente la vita per noi; fa sì che la sua vita diventi vita nostra. Il mistero dell’eucaristia, tipica scoperta del tempo pasquale, risiede proprio qui. La sua vita è vita nostra, non solo vita per noi donata. Siamo cioè invitati a vivere della stessa dinamica di vita che caratterizza lui, vita che compie la vocazione all’umanità come rivelazione dello splendore di Dio. Come ricordava Annalena Tonelli nel decifrare il messaggio rivoluzionario dell’eucaristia: “Questo è il mio Corpo fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché, se tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva, mangi la tua condanna Se non amo, Dio muore sulla terra, che Dio sia Dio io ne sono causa, (dice Silesio), se non amo, Dio rimane senza epifania, perché siamo noi il segno visibile della sua presenza e lo rendiamo vivo in questo inferno di mondo dove pare che lui non ci sia…”.

Quando il salmo 22 proclama che il pastore fa riposare le pecore in pascoli erbosi e presso acque tranquille, allude proprio al dono della vita eterna, sovrabbondante. Le acque tranquille - in ebraico, le acque di ‘menuchot’- richiamano la creazione del riposo/ristoro nel settimo giorno della creazione. Il testo della Genesi, dopo aver narrato la creazione di tutte le cose, dice: “Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto”. Ma non era più logico attendersi che avesse terminato la sua opera nel sesto giorno? Gli antichi rabbini hanno concluso evidentemente che vi fu un atto di creazione anche il settimo giorno: “Che cosa è stato creato il settimo giorno? La ‘menuchà’, la tranquillità, la serenità, la pace e il riposo” (cfr. Gen Rabbà, 10, 9). È lo stato in cui non vi è contesa né lotta, né paura né diffidenza; è felicità, pace e armonia; vita nel mondo futuro, vita eterna. Proprio quella ‘vita abbondante’ che Gesù riconsegna agli uomini che lo accolgono. È la gioia di un amore che non sarà più mortificato da nulla, amore che, testimoniato nel suo splendore sul calvario, è donato come Spirito di vita agli uomini che nel ‘crocifisso’ colgono il compimento della promessa di Dio per l’uomo.

A quel dono anelano gli ascoltatori che hanno seguito il discorso di Pietro a Pentecoste sentendosi trafiggere il cuore. “Convertitevi”: tornate alla promessa di Dio che si è compiuta in quel ‘trafitto’, morto e risorto; tornate a sentirvi destinatari della promessa di Dio che ha fatto risplendere in quel ‘trafitto’ lo splendore del suo amore salvatore, riunendo – come buon pastore – i figli di Dio dispersi. Tornate a dar credito alla potenza salvatrice di Dio che per mezzo di quel ‘trafitto’ ha realizzato la sua promessa di vita, la quale non è che l’offerta incondizionata della sua comunione perché tutto e tutti possano godere del suo amore.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  At 2, 14a.36-41

Dagli Atti degli Apostoli

 

[ Nel giorno di Pentecoste, ] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».

All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?».

E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro».

Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.

 

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 22

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:

non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare,

ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia.

 

Mi guida per il giusto cammino

a motivo del suo nome.

Anche se vado per una valle oscura,

non temo alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro

mi danno sicurezza.

 

Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici.

Ungi di olio il mio capo;

il mio calice trabocca.

 

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne

tutti i giorni della mia vita,

abiterò ancora nella casa del Signore

per lunghi giorni.

 

Seconda Lettura  1 Pt 2, 20b-25

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo

Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché

 

anche Cristo patì per voi,

lasciandovi un esempio,

perché ne seguiate le orme:

egli non commise peccato

e non si trovò inganno sulla sua bocca;

insultato, non rispondeva con insulti,

maltrattato, non minacciava vendetta,

ma si affidava a colui che giudica con giustizia.

 

Egli portò i nostri peccati nel suo corpo

sul legno della croce, perché,

non vivendo più per il peccato,

vivessimo per la giustizia;

dalle sue piaghe siete stati guariti.

 

Eravate erranti come pecore,

ma ora siete stati ricondotti al pastore

e custode delle vostre anime.

 

Vangelo  Gv 10, 1-10

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse:

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.

Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».

Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.

Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».