Quarto ciclo

Anno liturgico A (2010-2011)

Tempo Ordinario

 

30a Domenica

(23 ottobre 2011)

 

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Es 22,20-26;  Sal 17;  1Ts 1,5c-10;  Mt 22,34-40

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Possiamo notare anzitutto le due novità della risposta di Gesù nella formulazione evangelica di Matteo. Era usuale nell’ambiente rabbinico la domanda attorno al comandamento grande, quale fosse il primo comandamento e comunemente condivisa la risposta sulla base del testo di Dt 6,4-5: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. Gesù mette insieme il testo del Deuteronomio con Lv 19,18: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore” (cfr. anche i passi paralleli, nel contesto più cordiale di Mc 12,28-34 e Lc 10,25-28). La prima novità di Gesù sta nel raccordare i due comandamenti, dichiarando il secondo simile al primo ed estendendone la portata a tutti gli uomini. L’altra novità consiste nell’uscire dallo schema di riferimento usuale per le Scritture con il porre i Profeti sullo stesso piano della Legge, con l’allusione all’unità delle Scritture che in lui trova ormai la sua chiave di lettura.

Il comandamento di sempre, tipico del Dio dell’alleanza che intesse con il suo popolo una storia, acquista con Gesù una risonanza particolare. Non si tratta più solo di richiamare la fedeltà di Dio al suo popolo e la fedeltà del popolo al suo Dio, ma di percepire la fedeltà a Dio come la fedeltà al suo amore per i suoi figli che splende in quell’Inviato, mandato a mostrare quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini e a ‘riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi’ (cfr. Gv 11, 52). Ecco perché i due comandamenti sono simili, hanno la stessa importanza.

Il canto al vangelo (Gv 14,23: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui”) fa però intravedere una dimensione ancora più potente nella novità portata da Gesù. Il comandamento allude alla possibile rivelazione del volto di Dio al nostro cuore. Ci potremmo chiedere: la rivelazione è data dall’osservanza o da altro? L’abbinamento del passo di Giovanni al brano di Matteo vuol significare che non è la pratica a produrre la rivelazione, ma l’amore che presiede alla pratica e che alla pratica conduce. Perché? Nella risposta a questo interrogativo si cela anche la ragione dell’abbinamento dei due comandamenti nella sequenza che dà Gesù: Dio, prima e il prossimo, dopo, sebbene non ci sia alcuna distanza tra i due.

La frase di Gv 14,23 è la risposta di Gesù alla domanda dell’apostolo Giuda: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?”. Una manifestazione che procede da un amore è ravvisabile da chi non partecipa a questo amore? Poco prima Giovanni aveva scritto: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (14,21). Frase che si contrappone all’altra, a conclusione del discorso di Gesù: “... viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre” (14,30). Purtroppo la traduzione italiana non fa cogliere la contrapposizione, che è essenziale per comprendere il ragionamento di Gesù. La contrapposizione riguarda la frase: ‘chi ha i miei comandamenti...’(v. 21) e l’altra: ‘in me non ha nulla’ (v. 30). Chi fa l’esperienza dell’essere amato dal Padre, non ha bisogno di nulla e nulla cerca per sé: pratica i comandamenti che sono l’espressione di questo amore nel tempo e nello spazio e niente e nessuno gli può sottrarre questo amore. Solo in Gesù questo si compie assolutamente, ma la promessa di Gesù è che la stessa cosa varrà per i discepoli, se stanno in lui. La pratica dei comandamenti è in funzione del fatto che il mondo possa scoprire l’amore del Padre e così vivere la dimensione della fraternità nella sua radicale luminosità.

Il senso dell’amore al prossimo sta tutto nel fatto di far ‘sapere al mondo’ che l’amore del Padre è per lui. Per questo, se il primo comandamento esprime la radice di un’umanità che ha scoperto l’amore del Padre, il secondo ne segnala l’orizzonte di tensione, perché l’amore del Padre è per il mondo. Lo scopo della pratica dei comandamenti non è in funzione della mia perfezione, ma dello splendore dell’amore del Padre che a tutti è rivolto e di cui posso ammirare l’accondiscendenza per noi.

In questa prospettiva risulta illuminante anche la prima lettura, ripresa dall’Esodo nella parte che riporta le norme del Codice dell’alleanza, e precisamente rispetto alla cura dei deboli. Presentare Dio come il difensore dei deboli significa cogliere il mistero del regno di cui Dio si fa promotore. Richiama la rivelazione del Signore riportata da Is 41,4: “Io, il Signore, sono il primo e io stesso sono con gli ultimi”.

Così il comandamento, in particolare quello rivolto a favore del debole, ha sempre a che fare con la rivelazione dell’amore del Signore. La risposta di Gesù sottolinea almeno due cose. La prima. Egli cita la confessione di fede del pio israelita, che costituisce la parte più solenne della preghiera quotidiana di ogni ebreo praticante, formata da tre passaggi. Anzitutto: ‘Ascolta’! La Parola di Dio è fondante, la mia esistenza riceve senso da quella Parola, da lì prende vigore il mio cuore. ‘Il Signore è il nostro Dio’: prima ancora che possa cogliermi nella mia individualità, devo riconoscermi dentro una comunione, dentro una solidarietà. È il mistero dell’alleanza di Dio con noi che mi precede, dentro il quale mi posso raggiungere e riconoscere e accogliere. Prima c’è quello che Dio ha fatto per noi, poi in quel noi posso sentire anche me che vengo raggiunto dall’agire di Dio. Quindi ‘Tu amerai’, cioè finalmente posso rispondere e godere tutta l’intimità di quella alleanza. A questo punto il comandamento non è più un imperativo morale, ma la porta di accesso ad un segreto, ad un mistero di cui sono chiamato a divenire partecipe. Noi spesso leggiamo il comandamento dalla parte della paura, del sacrificio, della rinuncia a qualcosa, ma in realtà bisogna imparare a leggerlo dalla parte della passione del cuore, dell’anelito e del desiderio che ci muovono dentro e della possibilità finalmente di viverli compiutamente.

La seconda. Nel comando di amare il prossimo come se stessi, cosa comporta quel ‘come te stesso’? Se devo guardare a come amano certe persone, sempre aspre e piene di disprezzo per se stesse, io non voglio certo essere amato così da loro! Non significa quindi che dobbiamo amare gli altri come amiamo noi stessi semplicemente. Nemmeno significa che dobbiamo amare gli altri allo stesso modo con cui amiamo noi stessi, perché nel nostro amarci mescoliamo anche le nostre illusioni ed i nostri peccati e non così dobbiamo amare gli altri. Quel ‘come te stesso’ ha un significato di rivelazione, cioè ama il tuo prossimo in quanto ti appartiene e tu appartieni a lui, in quanto tu godi dello stesso amore di Dio di cui anche lui gode, sei raggiunto da quell’unico far grazia di Sé, in Cristo, da parte di Dio all’umanità, a te come a lui, a te perché si estenda a lui e viceversa, in quanto formi un unico corpo con lui per il mistero dell’ umanità che condividi allo stesso titolo con lui e che Dio condivide allo stesso titolo con noi tutti, in Cristo.

Come stupendamente spiega s. Francesco di Assisi nel suo commento al Padre Nostro: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l’anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell’anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno” (FF 270).

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Es 22,20-26

Dal libro dell’Èsodo

 

Così dice il Signore:

«Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.

Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani.

Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.

Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».

 

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 17

Ti amo, Signore, mia forza.

Ti amo, Signore, mia forza,

Signore, mia roccia,

mia fortezza, mio liberatore.

 

Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;

mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.

Invoco il Signore, degno di lode,

e sarò salvato dai miei nemici.

 

Viva il Signore e benedetta la mia roccia,

sia esaltato il Dio della mia salvezza.

Egli concede al suo re grandi vittorie,

si mostra fedele al suo consacrato.

 

Seconda Lettura  1Ts 1,5c-10

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési.

Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene.

E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia.

Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedònia e in Acàia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.

Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

 

Vangelo  Mt 22, 34-40

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».

Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».