Quarto ciclo

Anno liturgico A (2010-2011)

Solennità e feste

 

N.S. Gesù Cristo Re dell’universo

34a Domenica del Tempo Ordinario

(20 novembre 2011)

 

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Ez 34,11-12.15-17;  Sal 22;  1Cor 15,20-26a.28;  Mt 25,31-46

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Più che una parabola, il brano di vangelo di oggi è una descrizione profetica. La nostra mente, purtroppo, corre verso il futuro immaginando la scena di ciò che avverrà invece che aprirsi alla rivelazione che la descrizione di quella scena comporta.

La collocazione del brano nella struttura della narrazione di Matteo fornisce una luce tutta speciale per la sua comprensione. Alla parabola segue immediatamente il racconto della passione di Gesù. Quel Gesù, di cui si comincia a raccontare la passione e la morte in croce, è lo stesso Figlio dell’uomo che siederà glorioso a giudicare le genti. Stessa cosa sottolinea la liturgia, che si introduce con la visione dell’Agnello immolato  e glorioso (cf. Ap 5,12; 1,6), canta la figura del buon pastore con il salmo 22 a commento del brano di Ez 34, ripete con il canto al vangelo l’osanna della folla che vede la venuta di Gesù a Gerusalemme come il presagio del Regno di Dio che viene (cf. Mc 11,9-10).

Prima di tutto va colta una doppia rivelazione. La prima, quella che dà il nome alla stessa festa odierna, si riferisce al fatto che quel Gesù, che è vissuto, ha patito, è morto e risorto per noi, è proprio il Figlio di Dio: il suo essere Dio risplenderà in tutta evidenza, per tutti, per sempre e in ragione del fatto che è Dio per noi. La nostra immaginazione si ingannerebbe però se interpretasse la gloria che circonda il Figlio dell’uomo come la manifestazione della potenza divina, come se l’apparizione diretta di Dio rendesse tutti ammutoliti e soggiogati.

La seconda rivelazione consiste nel fatto che il re, che esprime la sua signoria con un giudizio inappellabile, vuole svelare la ragione profonda del suo giudicare. Manifesterà il segreto sul quale si regge il mondo e che ne costituisce la dignità assoluta: Dio ha voluto farsi solidale con l’umanità a tal punto che chi tocca l’uomo tocca Dio, chi onora l’uomo onora Dio, chi disprezza l’uomo disprezza Dio. Tale segreto rifulge nella vita del Figlio dell’uomo, perché è Lui che appare davanti agli occhi di Dio in ogni uomo. In un baleno apparirà tutta la verità dell’uomo e, contemporaneamente, tutta la gloria di Dio, che è gloria di amore per noi.

Se poi tendiamo l’orecchio a cogliere le risonanze dello straordinario invito del re: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”, possiamo percepirne le infinite sfumature, tutte particolarmente eloquenti per il nostro cuore. Il tono con cui la frase è pronunciata è il tono di tutte le Scritture: che il desiderio di Dio si incontri con quello dell’uomo e si possa gioire insieme. L’atto del separare le pecore dalle capre riprende l’atto della creazione come compiendola; il ‘Venite’ riprende il desiderio dello sposo e della sposa del Cantico dei Cantici, l’anelito dello Spirito e della Sposa alla fine dell’Apocalisse, l’invito di Gesù ai suoi discepoli; ‘benedetti del Padre’ riprende la volontà di benevolenza di Dio per l’uomo di cui Gesù è il Testimone per eccellenza, l’elezione di Israele come un mistero di intimità condiviso e esteso a tutte le genti; ‘ricevete in eredità il regno equivale alla stessa eredità del Figlio (ciò che Gesù vive ci appartiene e ci costituisce) e allo stesso Figlio che è costituito nostra eredità; ‘preparato per voi’ corrisponde alla gioia per la quale Dio si è dato premura, per la quale ha fatto il nostro cuore; ‘fin dalla creazione del mondo: da sempre, non esiste altro segreto, altra promessa che interessi seriamente il cuore dell’uomo.

Una tale pienezza non può derivare dall’uomo. Per questo i buoni non se ne sentono in diritto, si schermiscono, semplicemente sono stati solidali con i loro fratelli: quando mai abbiamo fatto questo e quest’altro proprio a te? Proprio questa indegnità rivelerà la purità di cuore alla quale è stata promessa la visione di Dio, perché la visione di Dio è la visione di un amore per noi sconfinato di cui nessuno può sentirsi degno. All’opposto, i malvagi, che risponderanno con lo stesso interrogativo dei buoni al re, non intenderanno schermirsi, ma giustificarsi e proprio questo rivela la non disponibilità all’amore.

Il racconto evangelico vuole introdurre al segreto di Dio per il mondo. Forse possiamo anche capirlo, ma come siamo lontani dal viverne la potenza e lo splendore!  Non esiste però altra norma del bene, altro segreto di felicità: chi vive solidale con l’umanità di tutti è arrivato al segreto di Dio, in attesa di goderne la sovrabbondanza di grazia perché quel segreto inondi e sommerga ogni altro sentire, ogni altro giudizio, ogni altro pensiero, in noi stessi e in tutti, nel mondo intero.

Aggiungo anche una suggestione particolarissima di Origene. L’immagine delle pecore richiama il mistero della passione di Gesù che come pecora muta di fronte ai suoi tosatori (Is 53,7) manifesta il mistero della sua mansuetudine che lui stesso rivela: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,28-29). La bontà consiste nella partecipazione alla sua mansuetudine tanto da restare solidali con la debolezza degli uomini e in questa solidarietà ciò che Dio vede è la mansuetudine del suo Figlio. Un versetto di un salmo canta: “Beato l'uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera”, che l’antica versione greca rende con: “Beato colui che ha intelligenza del povero e del misero …”. Il debole non è semplicemente il fratello bisognoso, straniero, malato, carcerato, ma è proprio il Figlio dell'uomo, che ha sacrificato la sua vita per invitare tutti e ciascuno alla comunione con lui, che non abbandona pur quando è abbandonato, che non si rifiuta pur quando è rifiutato.

Così la parabola ha a che fare con la rivelazione della dignità degli atti umani, definiti in rapporto alla prossimità in umanità, di cui l’uomo non coglie mai veramente la portata infinita, perché non può mai cogliere fino in fondo la profondità e l’assolutezza del mistero dell’amore di Dio che si confonde con i suoi figli, mistero che porta il sigillo del Figlio dell’uomo, morto e risorto per noi.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Ez 34,11-12.15-17

Dal libro del profeta Ezechièle

 

Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.

Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.

A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.

 

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 22

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:

non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare.

Ad acque tranquille mi conduce.

 

Rinfranca l’anima mia,

mi guida per il giusto cammino

a motivo del suo nome.

 

Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici.

Ungi di olio il mio capo;

il mio calice trabocca.

 

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne

tutti i giorni della mia vita,

abiterò ancora nella casa del Signore

per lunghi giorni.

 

Seconda Lettura  1Cor 15,20-26a.28

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.

Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.

È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.

E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

 

Vangelo  Mt 25,31-46

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.

Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.

Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.

Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.

E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».