Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo di Quaresima

 

3a Domenica

(7 marzo 2010)

 

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Es 3,1-15;  Sal 102;  1Cor 10,1-6.10-12;  Lc 13,1-9

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Nel vangelo risuona forte oggi il grido di Gesù: convertitevi! Tutto il capitolo 13 di Luca tende a dirigere gli sguardi sulla rivelazione che comporterà la sua passione a Gerusalemme. Quando Gesù sollecita i cuori alla conversione, la posta in gioco è proprio la possibilità di partecipare ai segreti di Dio che si svelano al mondo, la possibilità di un’esperienza di umanità ritrovata e guarita nell’accoglienza dell’amore salvatore di Dio che in Gesù ha appunto il suo sigillo ultimativo. La cosa è così essenziale per la vita dell’uomo che non è più possibile tergiversare, non è più possibile far finta, pena la rovina.

Quando la gente cerca di ottenere da Gesù la conferma di un senso plausibile alle crudeltà della storia (vedi l’esempio dei Galilei uccisi da Pilato e degli altri periti in un incidente di vita quotidiana), riceve una risposta paradossale. È assurdo pensare che, se io sono risparmiato dal dolore, significa che ho Dio dalla mia parte! L’uomo non ha alcun potere su Dio e quindi è perfettamente inutile che cerchi di avere Dio dalla sua parte. Dio è già dalla sua parte, ma in un modo che non è scontato vedere e vivere. L’esempio di Gesù è lì a evidenziarlo. Lui è l’Inviato di Dio, Lui è la rivelazione dell’amore di Dio. Da come accogliamo Lui, accogliamo la vita. Gesù è tutto teso a quel ‘gridare’: ‘convertitevi!...’. Senza la conversione all’alleanza di Dio, di cui Lui costituisce il sigillo, periremo tutti nel senso di non poter saziare il desiderio del nostro cuore e di venire lasciati in balia delle nostre ossessioni, rendendoci la vita impossibile gli uni contro gli altri.

Ora, la conversione si gioca proprio nell’accogliere la rivelazione di Dio, nello scoprire chi sia Dio per noi. Il grido di Gesù sale dalla profondità del mistero di Dio rivelato a Mosè nel roveto ardente, che il salmo responsoriale, il salmo 102, modula in mille sfumature. Dio confessa a Mosé: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto … conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo …”. In quel ‘conosco le sue sofferenze’ si rivela tutta la partecipazione dell’amore di Dio per le sue creature, tutta la sua prossimità all’uomo, tutta l’accondiscendenza che lo muove nei confronti dell’uomo. Gli antichi commentatori ebraici spiegano così i sentimenti di Dio: ‘io pure soffro come soffrono loro … le loro pene mi riguardano; vedo anche le pene che non dicono, ma che opprimono i loro cuori…’. E quando Mosè chiede a nome di chi dovrà presentarsi, Dio risponde: “Io sono colui che sono! … il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Il Nome di Dio esprime ciò che l’uomo di Lui può sperimentare quando lo invoca, quando, avendolo invocato, ne coglie la vicinanza e la sua potenza di liberazione e di favore. L’espressione, misteriosa nella sua disarmante semplicità ‘Io sono colui che sono’ può voler dire allora: ‘Io sono colui che sarò’; ‘Io sono là con voi come voi vedrete’; ‘io sono colui che tu vedrai quando invocandomi io ci sarò’; ‘chi io sia voi lo saprete da quello che farò per voi’. Il nome di Dio non rinvia semplicemente all’essere di Dio, ma al suo essere per noi. Tanto che Dio è sempre Dio di: Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, Dio di Israele, Dio di Gesù Cristo, Dio di ciascuno di noi… Così il popolo fa parte del nome di Dio, come Dio, El, fa parte del nome del popolo, Isra-El. ‘Nostro’ o ‘mio’ ed ‘unico’ in rapporto a Dio stanno sempre insieme. Tale è l’alleanza di Dio con l’uomo. Tanto che, secondo la bellissima espressione di Origene, in questa alleanza che si rivela nel Nome di Dio è sottesa tutta la dinamica della nostra crescita spirituale: “Magari venisse concessa anche a me l’eredità di Abramo, Isacco, Giacobbe e divenisse mio il mio Dio allo stesso modo che è diventato Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, in Cristo Gesù, Signore nostro”.

Se il salmo 102 lo mettiamo in bocca allo stesso Mosè, quante sfumature di senso si potrebbero cogliere! Lui può comprendere quello che Gesù dice di sé nelle parole di benedizione dei credenti che lo riconoscono come l’Inviato: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. La nostra lode al Signore è l’eco di quella benedizione: “Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome”. Tutto il mio intimo lo benedica; la benedizione di Lui salga dal mio cuore, dalla mia storia, dal mondo che per quella benedizione vive. Quando proclamiamo: “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie… Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore”, noi intendiamo esprimere la scoperta del Nome di Dio per il nostro cuore che ha cambiato tutta la nostra vita, ce l’ha fatta apparire sotto tutta un’altra luce, trasfigurandola. E ancora: quello che proclamiamo con il salmo 102 corrisponde alla preghiera dopo la comunione: “O Dio, che ci nutri in questa vita con il pane del cielo, pegno della tua gloria”, vale a dire: quando ci attrai alla comunione con te e con i fratelli e noi gustiamo il tuo perdono nella capacità di condividerlo con tutti, allora scopriamo la dolcezza del tuo Nome, allora portiamo frutti degni di conversione e tutta la nostra vita risplende di un’altra luce. Proprio alla scoperta del Nome di Dio che si rivela in Gesù ci rimanda l’invito evangelico: “Convertitevi!”.