Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo di Pasqua

 

Pentecoste

(23 maggio 2010)

 

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At 2,1-11;  Sal 103;  Rm 8,8-17;  Gv 14,15-26

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Come mai la manifestazione del dono dello Spirito Santo comporta quasi un’esplosione del linguaggio? A cosa alludono le lingue come di fuoco che segnalano il dono dello Spirito? “Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.

Nella settimana che precede la festa, la chiesa aveva fatto pregare: “Venga su di noi, o Padre la potenza dello Spirito Santo perché aderiamo pienamente alla tua volontà per testimoniarla con amore di figli” (colletta lunedì) e “Venga, o Padre, il tuo Spirito e ci trasformi interiormente con i suoi doni; crei in noi un cuore nuovo perché possiamo piacere a te e cooperare alla tua volontà” (colletta giovedì). Dunque, l’invocazione allo Spirito Santo è finalizzata all’adesione alla volontà di Dio. E se ci domandiamo quale sia la volontà di Dio, non possiamo che rispondere: la comunione di tutti gli uomini con lui. Come dirà san Paolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). Questa è appunto l’opera dello Spirito che la preghiera eucaristica condensa nelle parole: ‘dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito’ (III canone).

L’antifona d’ingresso della festa proclama: “Lo Spirito del Signore ha riempito l’universo, egli che tutto unisce, conosce ogni linguaggio”, riprendendo il passo di Sap. 1,7. La lingua dello Spirito è una lingua di comunione e l’invio dello Spirito è per la comunione. È evidente che gli uomini sono tra loro diversi, sono dispersi in ogni angolo e parlano lingue differenti. È un bene o un male? La Scrittura dà del fatto due spiegazioni. Una, positiva: dopo il diluvio Dio ha voluto che gli uomini abitassero la terra secondo la loro diversità (Gen 10); una, negativa: Dio ha condannato gli uomini alla diversità per evitare che si coalizzassero contro di Lui (Gen 11, racconto della torre di Babele). Ci sono due modi per far fronte alla diversità, percepita come una minaccia: o quello di esercitare un dominio da rendere irrilevante la diversità, e questo corrisponde alla volontà dell’uomo, che genera però schiavitù (l’esperimento di Babele comportava la costituzione di un dominio del più forte contro tutti gli altri per assoggettarli e Dio sarebbe stato negato come Padre); o quello di aprire la diversità alla comunione, lasciando alla diversità la sua consistenza e invitando ogni diversità a dare il proprio apporto a un mondo comune (e questo corrisponde alla volontà di Dio, che di tutti è Padre).

Quando, a Pentecoste, compaiono sul capo degli apostoli le lingue, la proclamazione evidente è: l’opera di Dio unisce tutti gli uomini. E l’opera di Dio è la verità del suo amore per gli uomini che in Gesù si è fatto visibile e accessibile. Il miracolo che a Pentecoste acquista una rilevanza fisica, tanto che ognuno sente proclamare l’opera di Dio nella sua lingua nativa (= ogni lingua, ogni uomo, nella sua diversità, è chiamato a proclamare la stessa ed unica cosa), è lo stesso miracolo che è operato nei cuori dallo Spirito quando li convince a muoversi nella carità, aprendo la diversità alla comunione e facendo esperienza che così viene proclamato l’amore di Dio che riempie i cuori. Riconoscere, assecondare, favorire tale dinamica, significa aver ricevuto e agire nella potenza dello Spirito Santo.

L’aspetto singolare per i credenti è dato dal fatto che l’impegno della testimonianza, di cui è fatto loro comando, consiste proprio in questa lingua di comunione. Tanto che, propriamente parlando, la testimonianza non si risolve in un impegno, ma in una sovrabbondanza. Proprio come per Gesù. La ‘verità tutta intera’ che lo Spirito farà conoscere è prima di tutto la verità dello splendore dell’amore di Dio per gli uomini che in Gesù rifulge, ragione per la quale l’unione dei discepoli con il Cristo precede e fonda la carità che sono chiamati a usarsi vicendevolmente. Anzi, quella carità sarà segnale per il mondo perché testimonia la potenza della presenza del Signore nel mondo.

È caratteristico che la settima beatitudine suoni: ‘beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio’ (Mt 5,9), da comprendere insieme all’altra espressione: ‘tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio’ (Rm 8,14). Lo Spirito agisce nei discepoli di Gesù nel senso di renderli come lui, il Figlio di Dio, la cui testimonianza si risolve nel mostrare quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini. E come per il Figlio la fonte della sua testimonianza sta nella comunione di vita con il Padre, così nei discepoli la potenza della loro azione deriva dalla intimità di comunione con il Figlio che non si stanca di trascinarli a cercare gli uomini perché godano anch’essi dell’amore del Padre. In questo i discepoli imparano a parlare la lingua della comunione, la lingua dello Spirito.