Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo di Avvento

 

2a Domenica

(6 dicembre 2009)

 

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Bar 5,1-9;  Sal 125;  Fil 1,4-11;  Lc 3,1-6

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La chiesa introduce la testimonianza di un profeta d’eccezione per predisporci ad accogliere la venuta di Gesù: Giovanni Battista. È definito come la ‘Voce che grida nel deserto’, voce per una Parola che ancora deve mostrarsi, ma dalla quale è già conquistato e di cui diventerà testimone.

Il brano del vangelo di Luca, in questo inizio del capitolo terzo, si espande in continue e misteriose allusioni. La persona di Gesù è compresa in rapporto a Giovanni Battista e Giovanni Battista è compreso in rapporto al popolo di Israele che attende la manifestazione del proprio Dio secondo la sua promessa, ma le coordinate storiche degli avvenimenti sono situate entro la cornice della storia pagana, a indicare la centralità dell’evento per la storia umana. Siamo nell’anno 28/29 d.C. Vengono nominate le autorità che derivano il loro potere dal beneplacito di Roma: anzitutto Tiberio, poi Ponzio Pilato (governatore/prefetto della Giudea tra il 26 e il 36 d.C.), Erode Antipa (che governa tra il 4 a.C. e il 39 d.C.), Filippo (al potere tra il 4 a.C. e il 34 d.C.) e Caifa, sommo sacerdote, che svolge il suo incarico tra il 18 e il 36, dopo che Anna, suo suocero, era stato deposto nell’anno 15. Le coordinate di senso, però, sono definite in rapporto alla storia sacra d’Israele con allusioni, dirette e indirette, alle Scritture. Il Battista è definito con un riferimento diretto al profeta Isaia 40,1-5 e con un’allusione alla vocazione di Geremia 1,1 e alla promessa di Dio in Osea 2,16-22. A questi brani la liturgia aggiunge il testo di Baruch, essenziale a cogliere il grido del Battista.

La voce del Battista risuona forte: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”. Eppure, la colletta fa pregare così: “O Dio grande nell’amore, che chiami gli umili alla luce gloriosa del tuo regno, raddrizza nei nostri cuori i tuoi sentieri …”. Identica cosa dice il profeta Baruc: “Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio”.

Se è Dio che raddrizza i sentieri, come si concilia questo agire di Dio con l’invito del Battista? Due sono i movimenti che si intersecano: l’azione di Dio e l’azione dell’uomo. L’azione di Dio riguarda l’invio del Figlio all’umanità, Figlio che riunisce i figli di Dio dispersi, che diventa segno glorioso dell’amore di Dio per gli uomini. A questa azione di Dio, che riassume il suo desiderio di stare con gli uomini e di renderli partecipi finalmente dell’amore suo di cui è ricolmo il Figlio, corrisponde l’azione dell’uomo che consiste proprio nell’aprirgli le porte, nell’accoglierlo, nel cogliere il segno che lui rappresenta. Sarà il Figlio, accolto, ricevuto in casa (pensiamo agli incontri avuti da Gesù con i vari discepoli e personaggi nei vangeli!), che ‘raddrizza i sentieri di Dio in noi’, nel senso che nel Signore Gesù e con il Signore Gesù l’uomo ritrova la sua vocazione divina e la possibilità di compierla in pienezza, per cui torna ad essere capace di compiere i comandamenti, che costituiscono i sentieri di Dio per noi.

E quando il Battista applica all’uomo l’esortazione di raddrizzare i sentieri di Dio non fa che scuoterlo dai suoi sogni e dalle sue illusioni perché apra il suo cuore a quel Figlio che sta per venire, che è venuto a portare e a far vivere la vita di Dio. E aggiungendo: “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”, non fa che sottolineare l’estensione del progetto di Dio per l’umanità. Come non si tratta di una salvezza che riguardi me più degli altri, così non si tratta di una salvezza che riguarda me senza gli altri. È la via di Dio per l’uomo, che diventa la via dell’uomo per Dio: lasciare libero il sentiero tra uomo e uomo è il segno più inequivocabile della rimozione di ostacoli nel sentiero tra uomo e Dio. Amare il prossimo torna a gloria di Dio perché è segno dell’esperienza dell’incontro con Dio, segno dell’accoglienza gioiosa e solidale con l’umanità di quel Figlio, mandato a riunire i figli di Dio dispersi, di cui ci prepariamo a celebrare il natale tra noi.

L’allusione alla voce che grida nel deserto riprende il testo di Osea: “Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore… Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto… Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore”, dove il brano, reso pudicamente in italiano, ha un connotato molto più realistico: ti sedurrò, parlerò sul tuo cuore, con espressioni tipiche dell’intimità delle relazioni tra l’uomo e la donna; risponderà, nel senso della risposta della sposa che si dona a suo marito. Allora, portare nel deserto da parte di Dio allude, sì, allo spogliamento (= penitenza) dei beni e delle cose nei quali ci si è illusi di trovare felicità, ma soprattutto allude a una nuova storia di amore che Dio è pronto a intessere col suo popolo su basi nuove, con una nuova alleanza, perché finalmente il cuore possa godere la vita in modo soddisfacente. Quando il Battista comincia a gridare nel deserto, nella sua voce c’è l’eco di questo desiderio di Dio di venire dal suo popolo, un’eco che non rimbomba più da lontano ma si fa sempre più vicino, fino a tramutarsi nel suono diretto della Parola d’amore che appare in mezzo al suo popolo quando Gesù si manifesterà.