Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo di Quaresima

 

3a Domenica

(15 marzo 2009)

 

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Es 20,1-17;  Sal 18;  1Cor 1,22-25;  Gv 2,13-25

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I miei occhi sono sempre rivolti al Signore…” canta l’antifona di ingresso. È un invito al cuore a cogliere il senso della liturgia a partire da quella prospettiva. I nostri occhi sono rivolti al Signore per cercare in ogni evento la traccia del suo passaggio al fine di seguirlo e poterlo conoscere; per cercare in ogni pensiero la scintilla divina che attiri a lui e apra uno spazio di visione del suo volto. Il fatto che i nostri occhi siano rivolti al Signore esprime la tensione del cuore che non si perde nelle cose, ma delle cose cerca il senso; che non si confonde con i suoi pensieri, ma li apre al sogno che racchiudono per compierli in verità.

Il canto al vangelo “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16) segnala l’esperienza che siamo chiamati a fare. Se nelle parole o nei comandamenti che Dio ci rivolge noi non riusciamo a percepire la sua tensione di amore nei nostri confronti, non riusciamo a cogliere il Dono di Sé, quel ‘suo far grazia di sé a noi’, come potremo osservarli con gioia? E se non percepiamo che tutte le sue parole, tutti i suoi comandamenti, sono espressione di quel Dono di Sé che nel Figlio Gesù il Padre ci fa, come potremo aprirci alla sua gioia? Come potremo vivere la nostra umanità in modo che risplenda di quell’amore divino di cui tutti i comandamenti parlano?

Nel brano dell’Esodo, dove viene presentata la serie dei dieci comandamenti, delle dieci ‘parole’, Dio inizia il suo discorso dicendo: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile”. Parla da dentro un legame già noto, già riconosciuto, da dentro un’alleanza che ha già fatto conoscere al popolo l’amore suo di benevolenza. Ed è da dentro quell’esperienza che le parole risuonano e possono arrivare al cuore. Appena quell’esperienza si affievolisce, le parole si stemperano e il cuore fatica a riconoscerle vere, presto le abbandonerà. Ma se quell’esperienza si mantiene forte (e qui dovrebbe appuntarsi tutto lo sforzo del coltivare il proprio cuore), allora avverrà quello che celebra il salmo responsoriale: “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice …”. Da interpretare in senso intensivo e dinamico: Dio che è integro, rende integri; Dio che è verità, rende veritieri; Dio che è rettitudine, rende retti. Con la conseguenza di trovare forza perché integri, saggezza perché veritieri, gioia perché retti e in ciò partecipare alla stessa vita di Dio.

A quell’esperienza alludeva la costruzione del tempio. Là si andava per rinnovare quell’esperienza. Ma Gesù, che di quell’esperienza rappresenta la testimonianza più vivida, freme al vedere come ormai il tempio non risponda più allo scopo, consapevole, da parte di Dio, che è venuto il tempo di indicare il ‘nuovo’ tempio, quello definitivo, non costruito dalle mani dell’uomo, dove la presenza di Dio in mezzo al suo popolo potesse risplendere con un sigillo di radicalità e di definitività non più passibile di cambiamenti. Gesù scaccia dal tempio venditori e cambiavalute a sottolineare la rivelazione che di lì a poco porterà: il nuovo tempio sarà il suo stesso corpo, dove non c’è mercato di sorta perché nulla è richiesto all’uomo se non l’accoglienza dell’offerta del Suo amore, sigillato dalla sua morte ‘gloriosa’, come dichiarerà l’evangelista Giovanni. È caratteristico il fatto che l’espressione di Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19) sia ripresa come accusa e scherno ai piedi della croce: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!” (Mc 15,29). Sarà l’ultima richiesta di segno: scendere dalla croce! Ogni richiesta di segno nell’ottica della potenza rivela la cecità del cuore di fronte all’agire di Dio. Gesù non scenderà dalla croce per convincere: se l’amore non convince, non c’è potenza che lo possa ottenere. La conseguenza sarà che il luogo della presenza di Dio nel mondo oramai è l’umanità: Dio risplende nell’umanità. E tutti i comandamenti sono in funzione di far risplendere quella umanità. L’amore di Dio per l’uomo è così radicale da far rivelare la Sua gloria solo a partire da e dentro l’umanità. Qui è racchiuso tutto il mistero dell’amore di Dio e della salvezza dell’uomo.

In tal senso si comprende allora come il cuore dell’uomo sia il luogo dell’adorazione del Dio vero, perché da lì può risplendere l’umanità. Le azioni buone provengono dallo splendore del cuore e lo splendore del cuore proviene dal riconoscimento dell’amore di Dio per noi. Solo così il nostro cuore non è più luogo di mercato, dove prevalgono interessi e contraffazioni. Non è cosa così agevole da vivere, come suggerisce Paolo illustrando il dramma del Crocifisso per l’uomo che patisce scandalo e stoltezza. Ma se l’uomo fa fede all’amore di Dio che in Gesù splende nella sua umanità, vilipesa e gloriosa, allora riuscirà ad abbandonare anche quella miriade di presunzioni e rivendicazioni che lo tormentano nella vita e che rendono i rapporti così difficili, impedendo all’umanità di risplendere. Per questo dico al mio cuore: “i miei occhi sono sempre rivolti al Signore…”.