Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo di Pasqua

 

Pentecoste

(31 maggio 2009)

 

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At 2,1-11;  Sal 103;  Gal 5,16-25;  Gv 15,26.27; 16,12-15

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“O fuoco la cui venuta è parola, il cui silenzio è luce! Fuoco che fissi i cuori nell’azione di grazie” canta s. Efrem e la liturgia di oggi, con il canto al vangelo, proclama: “Vieni, santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore”.

Gesù parla dello Spirito come di colui che ci guida a tutta la verità. È la verità dell’amore del Padre per gli uomini, amore che risplende nel Figlio e di cui lo Spirito ci incendia. L’aspetto però caratteristico del fuoco dello Spirito è la memoria di Gesù, di lui e delle sue parole, di lui e della sua opera di salvezza, riempiendo di lui il cuore e tutti i cuori. Lo Spirito, ottenutoci dalla passione gloriosa di Gesù, svela al nostro cuore il colloquio eterno tra il Padre e il Figlio a proposito della salvezza dell’uomo, il colloquio tra il Padre e il Figlio che vive la sua umanità nell’amore per gli uomini. Tutto questo ‘colloquio’ lo Spirito ha udito e ce ne rende partecipi. Così conosceremo la verità, vale a dire la grandezza dell’amore di Dio per l’uomo, che in Gesù si è fatto evidente, a noi accessibile, per la fede in lui. Ci farà gustare la promessa di Gesù: “Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15).

Oltre al fuoco, l’immagine caratteristica della Pentecoste è quella delle lingue. Il miracolo di pentecoste possiamo esprimerlo così: i vari idiomi si unificano in un’unica lingua, la diversità si apre alla comunione e tutti comprendono la stessa cosa. A dire il vero, non tutti, perché ci sono alcuni che si tengono in disparte e leggono l’evento come ciance di ubriachi. Ci sarà sempre spazio nel mondo per la missione e la testimonianza! Ciò che accomuna, comunque, è solo l’opera di Dio riconosciuto nel suo amore per gli uomini. Tutti mantengono la proprietà dei rispettivi linguaggi, ma tutti esprimono l’identica cosa: i cuori parlano oramai un’unica lingua, a differenza dell’esperimento della torre di Babele, quando gli uomini parlavano l’unica lingua del dominatore di turno in ordine al sogno di grandezza di qualche potente, ma i cuori erano schiavizzati, zittiti nella loro lingua. È il miracolo operato nei cuori dallo Spirito quando li convince a muoversi nella carità, aprendo la diversità alla comunione e facendo esperienza che così viene proclamato l’amore di Dio che riempie i cuori. Riconoscere, assecondare, favorire tale dinamica, significa aver ricevuto e agire nella potenza dello Spirito Santo. E lo Spirito Santo non può che condurre alla conoscenza del mistero del Signore Gesù che dell’amore di Dio per gli uomini è il testimone per eccellenza.

L’unità dell’opera di Dio si manifesta in quei frutti di cui Paolo attribuisce l’azione allo Spirito: “Il frutto dello Spirito, invece, è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge” (Gal 5,22). Perché quei frutti parlano dello Spirito, se lo Spirito è dato in ordine alla missione nel mondo? Lo Spirito investe l’universo irradiando dal centro delle persone; opera nel mondo a partire dalla trasfigurazione delle persone. I frutti alludono alla realizzazione della vocazione all’umanità che scaturisce dalla comunione con Dio, di cui Gesù ci fa partecipi nel suo Spirito e che si riversa, in solidarietà con i suoi sentimenti, su tutti gli uomini, destinatari come noi del suo amore misericordioso. Non per nulla Paolo accompagna l’esposizione dei frutti dello Spirito con l’annotazione: “Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri”. La funzione perciò dello Spirito è quella di farci ritrovare in Gesù, di renderci appartenenti a Gesù (“Io sono la vite, voi i tralci” ... “rimanete in me”) in quella umanità ormai aperta alla comunione con Dio, solidale con lui e con gli uomini. A questo allude la specificazione dell’azione dello Spirito come memoria di Gesù. Mondo è tutto ciò che fa resistenza a quella comunione e non vuole accogliere il segreto di Dio che lo Spirito ci comunica in Gesù (cf. Gv 15,15). E dove si annida, se non nel cuore dell’uomo, la resistenza all’azione dello Spirito? Appena il cuore viene liberato dalle sue illusioni di potenza o presunzioni di potere, torna a godere della sua umanità compiendone gli aneliti e ritrovandosi solidale con tutti.

La missione alla quale lo Spirito Santo abilita i discepoli risponde proprio allo scopo dell’unità degli uomini. In un doppio significato: primo, si tratta di una missione di annuncio perché il dono dell’esperienza della fede non riguarda me o te, ma riguarda me per arrivare a te, riguarda te per arrivare a me, riguarda noi per arrivare a tutti. Il Signore Gesù appartiene a tutti gli uomini perché per tutti gli uomini è nato, morto e risorto. Anche in questo va letto il mistero dell’unità dei figli di Dio dispersi che costituisce lo scopo dell’agire di Dio, in Cristo, per mezzo dello Spirito Santo. E secondo, si tratta di una missione che rende capaci di mostrare il mistero, cioè che abilita i discepoli a far vedere con la loro vita lo splendore del Cristo, nel quale tutti possono trovare pace e unità. I frutti dello Spirito riguardano proprio il passaggio dal permanere semplici individui, centrati su se stessi, al diventare persone, soggetti di comunione, mossi appunto da quello Spirito che della comunione fa la sua opera specifica. E questo rivela ai cuori le meraviglie di Dio, apre i cuori a riconoscere il Volto del Dio Vivente.