Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo Ordinario

 

33a Domenica

(15 novembre 2009)

 

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Dn 12,1-3;  Sal 15;  Eb 10,11-18;  Mc 13,24-32

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Il ciclo dell’anno liturgico volge al termine e la chiesa si trova proiettata nella tensione escatologica, nella ‘attesa della fine’. Le letture di oggi ricordano gli eventi ultimi, misteriosi, quelli che precedono l’avvento del Figlio dell’uomo sulle nubi quando verrà nella gloria a giudicarci e ad aprirci le porte del Regno. In un’unica sequenza vengono mescolati gli avvenimenti della morte-risurrezione di Gesù, della distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani, delle tragedie della storia umana, delle prove e del martirio dei credenti, dei segni cosmici alla fine dei tempi, del giudizio finale imminente. Come disporre il cuore ad ascoltare la parola di vita che risuona in tutte queste parole?

La finestra di luce è data dall’antifona di ingresso che riprende alcuni versetti del cap. 29 del profeta Geremia: “Dice il Signore: «Io ho progetti di pace e non di sventura; voi mi invocherete e io vi esaudirò, e vi farò tornare da tutti i luoghi dove vi ho dispersi»”. È la testimonianza del profeta fatta recapitare per lettera agli esiliati in Babilonia invitati ad accettare la prova nell’attesa dell’intervento liberatore del Signore, senza cedere a false promesse di falsi profeti per false e presunte liberazioni che non ci saranno. Anche la colletta si esprime nella stessa ottica: “… donaci il tuo Spirito, perché operosi nella carità attendiamo ogni giorno la manifestazione gloriosa del tuo Figlio, che verrà per riunire tutti gli eletti nel suo regno”. Come a dire: donaci lo Spirito di Gesù che fa risplendere il tuo amore tra gli uomini perché anche noi, mossi dallo stesso amore, possiamo vedere fin da ora l’avvento del tuo regno che compone in unità i figli di Dio dispersi. Se per questo lui è venuto, in questo possiamo vedere i progetti di pace di Dio realizzarsi. L’insistenza sulle prove, sui dolori, sulle tribolazioni, sul martirio, che il linguaggio apocalittico esalta con immagini penetranti, non fa che acuire la vista sull’unicum necessario, mantenere cioè il cuore in quell’amore che da lui discende e che a lui riporta perché tutti possa conquistare, finalmente. Al di fuori di lui, progetto di pace di Dio per l’uomo, quell’amore non si attinge e la tragedia della storia resta solo tragedia, la dispersione resta solo un sogno irrimediabilmente infranto che acuisce la rabbia e la separazione tra gli uomini e appressa semplicemente la fine senza far raggiungere il fine. Per questo, quando la prova incombe, la tentazione assale, lo sconvolgimento irrompe, l’avvertimento che risuona è sempre il medesimo: badate bene, state attenti, vegliate! Non ingannate il vostro cuore, non lasciatevi ingannare!

Lo ripete il canto al vangelo: “Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. La frase completa suona: “ ... perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire [stare in piedi] davanti al Figlio dell’uomo”. L’avvertimento riguarda la verità della vita che sempre ci sfugge, la realtà di un incontro che farà emergere la verità della vita, come ci ricorda il seguito del passo parallelo di Matteo con la parabola del giudizio finale. Qui si insiste sul fatto che non ci sarà tempo per prepararsi come noi vorremmo, non varranno giustificazioni di sorta, non ci sarà possibilità di sottrarsi al giudizio e perciò tanto vale vivere oggi nell’ottica della verità che comporta quel giudizio. Perché, ci ricorda Gesù: “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.

Proprio perché crediamo che l’esito finale sarà la manifestazione gloriosa del regno di Dio, per cui tutti vedranno quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini sia che se ne partecipi nella gioia sia che ce ne si senta dolorosamente privati, ci diamo premura perché anche il nostro agire, nell’oggi che ci è dato, sia teso a rivelare quella manifestazione, a far sì che appaia al nostro cuore, oggi, nel suo splendore, quell’amore che ci è stato riversato nella persona del Figlio dell’uomo. Così, ogni evento della fine non può che ricollegarsi all’evento della morte-risurrezione del Figlio dell’uomo il quale davvero consuma la storia aprendola al suo fine, alla rivelazione di quel progetto di pace. La domanda angosciosa che ci accompagna resta sempre la medesima: ma perché la storia deve contemplare nel suo seno tanto dolore? Perché il Figlio dell’uomo è anche l’uomo dei dolori? Si convince un cuore dell’amore che gli porti se non vede che puoi anche soffrire per lui? E la risposta resta segreta nel cuore di Dio, segreto a cui il cuore attinge quando non si premura d’altro che di condividere il progetto di pace di Dio. Proprio come canta l’antifona alla comunione: “Il mio bene è stare vicino a Dio, nel Signore Dio riporre la mia speranza”. Oppure, come nel ritornello del salmo responsoriale: “Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio”. Da intendere: veniamo custoditi proprio dalla manifestazione dell’amore del Signore al nostro cuore, che così ne resta conquistato, in modo tale che quell’amore risulta il segreto vero della nostra umanità, la nostra radice di vita.