Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo Ordinario

 

30a Domenica

(25 ottobre 2009)

 

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Ger 31,7-9;  Sal 125;  Eb 5,1-6;  Mc 10,46-52

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Il brano del vangelo di oggi ha degli accenti assolutamente particolari. I verbi, anzitutto. Tutti i verbi del brano sono intensivi: Bartimeo, il cieco alle porte di Gerico, grida, non semplicemente chiama; ripetutamente grida (tra l’altro, il grido del cieco è diventato il paradigma dell’invocazione della preghiera di Gesù, della preghiera del cuore!); getta via il mantello, non semplicemente se lo toglie; balza in piedi, non semplicemente si alza; si rivolge a Gesù da dentro una conoscenza che aveva già lavorato il suo cuore, sebbene non avesse ancora mai potuto vederlo in faccia e, appena lo vede, si mette a seguirlo. Tutto il racconto assume una valenza simbolica precisa, che la liturgia fa risaltare.

La prima lettura, tratta dal cap. 31 di Geremia, il capitolo dove è profetizzata la nuova alleanza di Dio con il suo popolo, scritta sul loro cuore, descrive il ritorno del Signore con i suoi figli a Gerusalemme dopo il periodo amaro della schiavitù. Il salmo responsoriale celebra l’esperienza di quel ritorno e la riconsegna del popolo al suo destino di bene e di felicità, come il Signore aveva promesso. Il racconto evangelico mostra di che cosa era foriera quella profezia, anzitutto dalla parte di Dio e poi dalla parte dell’uomo. Gesù e Bartimeo sono i personaggi chiave che svelano la natura del segreto di Dio per l’uomo, noto a Gesù, ma avvertito potentemente anche da Bartimeo, sebbene confusamente. Troppo a lungo Bartimeo ha dovuto soffrire, troppo a lungo ha dovuto aspettare, troppo a lungo aveva sperato per indugiare ancora: tutto scoppia, prorompe, perdendo ogni ritegno. E Gesù, che anche lui vive con impazienza ormai la dinamica di rivelazione dell’amore di Dio per gli uomini da non vedere l’ora di arrivare a Gerusalemme, riconosce il suo desiderio, lo risana e lo rende suo compagno di viaggio, partecipe ‘vedente’ del suo segreto da parte di Dio.

I particolari che illustrano la tensione interiore di Bartimeo sono due: il grido, ‘Figlio di Davide’ e l’epiteto con il quale si rivolge a Gesù, ‘Rabbunì’. Nei vangeli sinottici, se non vado errato, soltanto nel caso del o dei ciechi di Gerico ci si rivolge a Gesù con ‘Figlio di Davide’ (in Matteo, anche la donna cananea usa quel titolo, lei, pagana!). L’espressione è da collegare all’esclamazione che subito dopo, entrando Gesù in Gerusalemme, la folla proclama festante. Allude al mistero di Gesù che si sta svelando e che nessuno coglie. Bartimeo sembra presagirlo. Lo conferma il titolo con il quale si rivolge a Gesù quando gli arriva davanti: “Rabbunì”, evidentemente pronunciato con un tono accorato, a differenza delle grida che gli avevano ottenuto l’attenzione dello stesso Gesù. Quella espressione nasconde un mondo. Solo in un altro passo evangelico risuona quel titolo, sulla bocca di Maria Maddalena quando, nel giardino, si sente chiamare per nome da Gesù subito dopo la sua resurrezione (cfr. Gv 20,16). Immaginiamo il trasporto, l’emozione con cui viene pronunciato! Rivela la natura di un rapporto personale, intimo, con Gesù di cui ormai ha condiviso vita e sentimenti, verso cui tende con tutta la sua anima. Anche per Bartimeo quell’appellativo nasconde una tensione fortissima dell’anima. E non solo in funzione della guarigione che invoca, ma in funzione dell’orientamento di tutta la sua vita, come poi il brano testimonia annotando che Bartimeo va dietro a Gesù. Quel suo ‘andar dietro’ a Gesù porta l’eco del comando di Gesù: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. In effetti ogni guarigione procurata dalla fede si traduce sempre in un andare, un andare appunto dietro a Colui che si è mostrato e che ci ha rapito il cuore.

È l’esito della nostra preghiera: tornare ad avere il cuore che vede compiersi, svelarsi nella nostra vita il segreto di Dio. In questa prospettiva ha senso l’esultanza del credente come ripete l’antifona d’ingresso di oggi: “Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto”, perché vi renda complici del suo segreto per l’uomo. La preghiera è appunto la condivisione della ‘fretta’ che muove Gesù di veder compiersi il segreto di Dio in favore degli uomini, fretta che trascina i discepoli e muove il mondo. Soltanto l’invocazione ‘gridata’ con tutto il cuore, senza alcun ritegno, come è avvenuto per la donna Cananea (Mc 7, 26) e Bartimeo: “Figlio di Davide, abbi pietà di me” farà vedere la fretta che muove il Signore nel suo appressarsi all’uomo aprendoci il suo segreto e sanando così il nostro cuore, tanto da trascinarci nella sua stessa dinamica perché tutti ne siano lambiti.