Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo di Pasqua

 

2a Domenica

(30 marzo 2008)

 

_________________________________________________

At 2,42-47;  Sal 117;  1Pt 1,3-9;  Gv 20,19-31

_________________________________________________

 

Per tutta l’ottava è risuonata l’acclamazione pasquale: “Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci e esultiamo”, ripresa dal sal 117. Se la risurrezione di Gesù inaugura il giorno fatto dal Signore, si comprende come essa non potesse appartenere all’orizzonte mentale dei discepoli. I racconti di risurrezione lo provano. Ma allora qual è il significato di quei racconti? In Giovanni, a differenza dei sinottici, i racconti delle apparizioni del Risorto non hanno un valore apologetico; non mirano semplicemente a comprovare la ‘realtà’ del corpo risorto di Gesù. La risurrezione di Gesù non è il ‘miracolo’ che può convincere della sua divinità. La fede degli apostoli come quella dei discepoli che li seguiranno, quindi anche la nostra, riposa sempre sulla parola trasmessa con la forza dello Spirito Santo e non sui segni visibili della Presenza. Non esiste ‘evidenza’ costringente del mistero di Dio e del suo amore per gli uomini.

Cosa allora ‘costringe’ il cuore dell’uomo a riconoscere il mistero di Gesù, morto e risorto? Notiamo anzitutto che non si tratta tanto di ‘riconoscere’ che Gesù è davvero risorto, quanto piuttosto di restare intimamente coinvolti nel dinamismo di un rapporto che porta vita e cambia tutto. Se Tommaso, che non era stato presente alla prima apparizione di Gesù, non vuol credere ai suoi compagni, non è per mancanza di fede, ma per eccesso di zelo, come ben si attaglia al suo personaggio, fervido e coraggioso. Ha preso sul serio la storia con Gesù e non vuole alcuna illusoria consolazione. Vuole Gesù e basta. Quando Gesù si ripresenta una settimana dopo e si rivolge a lui con le sue stesse parole, Tommaso non ha bisogno di alcuna comprova (di mettere cioè il dito e la mano nelle ferite), riesce solo a sussurrare: “Mio Signore e mio Dio”, che è la professione di fede più solenne e più intima di tutto il vangelo. La frase conclusiva di Gesù: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno” è spesso letta come un rimprovero nei suoi confronti, ma niente autorizza a leggerla così. Tommaso ha semplicemente avuto quello che è stato concesso agli altri apostoli e la cosa risponde alla promessa di Gesù nell’ultima cena: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (Gv 14,19-20).

Il mondo non può vedere, il discepolo sì. Ciò significa che in gioco non è un vedere semplicemente con gli occhi, ma un vedere nella fede, un vedere nella luce della compiacenza di Dio per noi. Tommaso è riconosciuto beato non per aver toccato, ma per aver ‘veduto’. L’aveva già preannunciato Gesù a proposito della missione degli apostoli allorquando, esultando nello Spirito, aveva innalzato la sua solenne benedizione al Padre: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare". E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l' udirono” (Lc 10,21-24).

Quando gli apostoli ‘vedono’ Gesù risorto non significa che hanno ‘visioni’, ma più concretamente che ‘il Signore si fece vedere’, cioè sperimentano degli incontri. Ma come un cuore può aprirsi all’incontro se già non tende a colui che desidera vedere? Per questo, nella proclamazione di fede della chiesa nella risurrezione sempre si aggiunge ‘secondo le Scritture’. Gesù è risorto, secondo le Scritture; Gesù risorto apre la mente all’intelligenza delle Scritture. Non è semplicemente il suo ‘essere ritornato in vita’ che costituisce il mistero della risurrezione. Non per nulla, nella narrazione di Giovanni, quando Lazzaro è risuscitato appare avvolto con bende, impedito di muoversi, mentre quando risorge Gesù le bende (i ‘lenzuoli’ funerari) diventano segno di qualcosa d’altro.

Nella proclamazione del Signore risorto da parte dei discepoli si fonda la comunità cristiana che risponde all’Alleanza annunciata dal profeta Osea 2,25. “Li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non - amata; e a Non - mio - popolo dirò: Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio”, confessione che è quella di Tommaso. Perché allora Gesù proclama beati quelli che pur non avendo visto crederanno? La narrazione evangelica ha presente non semplicemente la cronaca degli eventi pasquali, ma la storia dei credenti. Finirà il tempo di una certa ‘visione’, come finirà il tempo dei testimoni oculari sulla cui autorevolezza coloro che verranno dopo continueranno a credere al Signore Gesù. Quello che non finisce, perché continua eterno il giorno fatto dal Signore, è la possibilità reale dell’incontro, è la percezione della Presenza in mezzo al suo popolo, a cui il dono della pace fa riferimento e di cui la gioia è il segnale per eccellenza.

La prima lettera di Pietro lo dice chiaro riferendosi a coloro che sono venuti alla fede dopo gli apostoli: “voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa” (1Pt 1,8). Per cogliere a fondo il senso si dovrebbe però tradurre: ‘senza averlo visto, voi l’amate; senza vederlo ancora, ma credendo in lui, voi trasalite di gioia’. L’espressione si riferisce a noi, che siamo venuti dopo l’epoca apostolica. L’accento non è più posto tanto sul ‘vedere’ ma sulla ‘fede’ che permette il vedere in modo da avere la vita, la stessa vita che scorre nel Figlio di Dio, morto e risorto. Si passa dalla gioia della presenza ‘vista’ (apparizioni del risorto agli apostoli) alla gioia della presenza percepita (celebrazione dell’eucaristia) fino alla letizia nello Spirito quando si dovrà soffrire per il nome di Cristo perché la sua pace conquisti il mondo intero e la gioia dell’essere in lui riveli a tutti lo splendore dell’amore di Dio per gli uomini. A questo si riferisce la confessione di Tommaso e della chiesa a proposito di Gesù risorto: “Mio Signore e mio Dio”.