Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo Ordinario

 

21a Domenica

(24 agosto 2008)

 

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Is 22,19-23;  sal 137;  Rm 11,33-36;  Mt 16,13-20

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I brani evangelici di oggi e di domenica prossima andrebbero letti insieme. Siamo a Cesarea di Filippo, la città costruita da Erode Filippo presso le sorgenti del Giordano, in una zona rocciosa, alle pendici del monte Hermon. Gesù, come annota l’evangelista Luca, ha appena terminato la sua preghiera, segno evidente dell’imminenza di una rivelazione. Gesù intende manifestare ai discepoli qualcosa del mistero della sua persona.

Quando i discepoli rispondono a nome della gente alludono alla grande attesa che abita i cuori: verrà il messia e ci libererà. Non era importante definire la persona del messia, era sufficiente che fosse definito il ruolo del messia. La gente si ferma qui. Ma a Gesù preme altro e insiste con i discepoli: “Voi chi dite che io sia?”. La risposta di Pietro fa un passo avanti rispetto alla gente; cerca di cogliere la persona del messia senza fermarsi semplicemente al ruolo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Nella sua professione di fede c’è la confessione di Gesù come l’Eletto, l’Unico, il Figlio Unico, l’Unigenito, nella sua unicità di relazione con Dio; ma anche nella sua unicità di relazione con gli uomini, per i quali è l’Inviato, il Figlio prediletto che rivela l’amore del Padre, l’Unico che può rivelare il vero volto di Dio, di quel Dio che è definito ‘Vivente’, cioè il vero Dio dell’alleanza e che quindi compie tutte le promesse di Dio per l’uomo e tutti i desideri dell’uomo. Tutto questo esprime la sua confessione di fede ed è per questo che Gesù lo proclama beato in quanto quella percezione non può derivare dalla carne e dal sangue, dalla sua esperienza umana, ma deriva dall’iniziativa stessa di Dio che al suo cuore si è mostrato.

La beatitudine richiama la benedizione proferita in precedenza da Gesù per i discepoli: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11,25-26). È la benedizione/beatitudine per i ‘piccoli’, per coloro che stanno aperti al pensiero e all’azione di Dio in tutta confidenza, capaci perciò di ricevere senza filtri l’atto di rivelazione di Dio. Ma - il solito ‘ma’ che tanto valore ha nelle cose di Dio - questa rivelazione, che pure è veritiera, vivida, coinvolgente, non ha ancora plasmato la carne e il sangue. In effetti, appena Gesù rivela a fondo il suo mistero, che cioè dovrà soffrire e morire, Pietro si rifiuta di accoglierlo, segno nello stesso tempo del suo amore e del suo essere semplicemente ancora carne e sangue e segno anche della sua paura, paura che nel pericolo della sua vita lo porterà a rinnegare il suo Maestro. Ma quando la paura sarà tolta, quando l’amore del Signore lo farà testimone in mezzo ai suoi fratelli nel senso che l’amore per loro deriverà principalmente dal partecipare all’amore del suo Maestro, allora sarà capace anche lui di dare la vita. La rivelazione avrà plasmato completamente il suo essere carne e sangue. Questo tragitto è il tragitto di ogni discepolo del Signore: dall’essere carne e sangue, giungere alla rivelazione fin tanto che questa avrà plasmato tutto il proprio essere carne e sangue. Dove è in gioco la nostra vita, a qualsiasi livello si intenda, finiamo sempre per riscegliere noi stessi, rifiutando il Signore fino a rinnegarlo, per poi pentirci, piangere, vederlo, sentirci amati, seguirlo finalmente e poter dare la vita per lui.

Gesù fa una promessa a Pietro: “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. Pietro è la traduzione greca del nome aramaico Kepha (roccia). Nell’ambiente di allora non veniva usato come nome proprio di persona. L’attribuzione a Simone, figlio di Giovanni, del nome ‘Kepha’, ‘Roccia’, Pietro, indica il fondamento sul quale si regge la fede: la persona del Figlio del Dio vivente, sul quale l’apostolo e tutti i discepoli con lui possono giocare la loro vita, perché Dio non viene meno alla sua alleanza con gli uomini e perché Gesù costituisce il sigillo ultimativo e definitivo della volontà di salvezza di Dio per l’uomo. Dio in effetti è la Roccia, colui che non viene mai meno, che non manca di adempiere le sue promesse, che è sufficientemente potente per adempierle; se l’uomo lo accoglie, lo riconosce, ne avverte il Bene e gli fa spazio, partecipa anche lui di quella ‘saldezza di fondamento’ e può gustarne la dolcezza incorruttibile.

Il potere delle chiavi, nel giudaismo, si riferisce all’esercizio di un’autorità fondata sull’interpretazione della Legge. Qui invece si riferisce al potere della confessione di fede nel Signore Gesù che apre al perdono dei peccati e dà l’accesso al regno di Dio. È il mistero della ‘conversione’ che ci ottiene la riconciliazione con Dio, nel Signore Gesù, garantita dalla chiesa. Come se la chiesa ci ripetesse sempre: il regno dei cieli è davanti a voi; Colui che Dio ha designato per mostrarvelo, per aprirvelo, per introdurvici, è qui davanti a voi. Lo potete toccare, è finalmente alla vostra portata. Del resto, è esattamente la stessa testimonianza dei discepoli, come riporta Giovanni: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo” (1Gv 1,1-3). In quell’annunzio, efficace, con l’esperienza di vita alla quale apre, c’è tutto il potere delle chiavi della chiesa.

Niente e nessuno può rapirci al Signore: questo significa che le porte degli inferi non prevarranno contro la chiesa. Se siamo suoi, di lui che è il più forte, allora nessuno può rapirci; se prendiamo la vita da lui, che è il Vivente, Colui sul quale la morte non ha più potere, allora la vita che ci attraversa non cederà davanti a nulla perché non è più soggetta alla morte. Quella promessa è da raccordare con l’altra, alla fine del vangelo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, parole con cui si chiude il vangelo di Matteo (Mt 28,20). E nelle parole di Gesù è adombrata la promessa che non mancheranno mai uomini e donne che faranno risplendere in mezzo a noi quella Presenza.