Secondo ciclo

Anno liturgico C (2006-2007)

Tempo Ordinario

 

28a Domenica

(14 ottobre 2007)

 

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2 Re 5,14-17;  Sal 97;  2 Tm 2,8-13;  Lc 17,11-19

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Non è la prima volta che Luca nel suo racconto presenta la guarigione di lebbrosi. In Lc 5,12-14, parallelo a Mc 1,40-45 e a Mt 8,1-4, troviamo che Gesù guarisce un lebbroso che gli si era avvicinato. Ma si tratta appunto solo di un miracolo di guarigione. Il testo non indugia su altro. Nel brano di oggi invece il testo sembra come sorvolare sull’evento del miracolo di guarigione per insistere su altro. Lo rivela il colloquio di Gesù con il samaritano lebbroso guarito che è tornato a ringraziarlo e il contesto in cui il brano è collocato. Tra l’altro, anche il racconto del lebbroso guarito secondo il vangelo di Matteo, è collocato in un contesto assolutamente speciale. Gesù era appena disceso dal monte delle beatitudini sotto l’impressione potente da parte degli ascoltatori che la sua ‘autorità’ di insegnamento fosse unica: costui parla non come gli altri rabbi, parla non semplicemente a nome di Dio, ma direttamente dalla parte di Dio. Appena sceso, guarisce un lebbroso toccandolo, togliendo così la divisione tra puro e impuro come segno della sua missione.

Ritorniamo al brano di Luca e partiamo dal contesto. Gesù è in viaggio verso Gerusalemme e l’annotazione di Luca mette in risalto il fatto che ciò che avviene deve essere compreso nell’ottica di quel viaggio, per lo scopo segreto di rivelazione del mistero di Dio che si compirà. Non solo, ma subito dopo il racconto dei dieci lebbrosi segue la domanda dei farisei sul regno di Dio: “Quando verrà il regno di Dio?”. Ciò che è in gioco nel brano dei dieci lebbrosi è appunto la questione del Regno di Dio che viene. Come non vederlo? Eppure, non sembra così facile vederlo.

Dieci lebbrosi, tormentati dalla malattia che comportava l’esclusione dalla comunità (“gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce”, in ottemperanza alla legge di Lev 13,46), gridano al Signore il loro tormento e chiedono di essere guariti. Tutti e dieci sono sinceri e tutti e dieci hanno fiducia in Gesù perché credono alla sua parola e si muovono per andare a presentarsi ai sacerdoti. Lungo il cammino si ritrovano guariti. La loro fiducia è stata premiata. Nove proseguono, uno solo torna indietro per ringraziare Gesù. È qui che il racconto rivela la sua vera portata. Non si tratta del racconto di un miracolo, ma della rivelazione che consegue. I nove che proseguono (effettivamente, sono così obbedienti e devoti che vogliono eseguire fino in fondo il comando di Gesù e non tornano indietro?) non si accorgono di quel che è avvenuto in verità. Non hanno sentito in loro la parola del profeta: “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19). E difatti non fanno nulla degno di menzione; di loro si perdono le tracce, sono paghi di quel che hanno ricevuto. Uno, lo straniero, il samaritano, torna indietro, vuole ritornare a vedere Colui le cui parole sono state così potenti da sanarlo.

Una prima osservazione. Dio non lesina i suoi doni, anche se gli uomini spesso interpretano questi doni come atti dovuti. Se Dio è Dio, perché non mi può dare questo o quest'altro? Me lo deve dare, mi spetta! (quante accuse a Dio di fronte agli eventi della nostra vita!). Ma questo atteggiamento si perde nel nulla, non produce nulla degno di menzione, non viene lodato da Dio. Perché? Perché tutto ciò che riceviamo e abbiamo, tutti i doni di Dio comportano un'intenzione segreta, un appello al nostro cuore da parte di Dio. Il rimprovero che Gesù fa ai nove lebbrosi rivela la sordità di fronte a questo appello, la cecità di fronte a questa intenzione segreta di Dio. L'uomo si confonde con il dono che ottiene e si richiude su di sé. E' rimasto sordo, non ha visto di cosa si trattava realmente.

Quando invece prorompe la lode, la riconoscenza ("tornò indietro lodando Dio ... si gettò ai suoi piedi per ringraziarlo"), il cuore ha percepito l'appello, ha sentito l'intenzione segreta di Dio. L’incontro che seguirà non interesserà più soltanto un bisogno, ma tutto il proprio cuore; non più soltanto una cosa, ma tutta la propria vita. L'incontro fa accedere ad una nuova visione (Alzati: ha scoperto che Colui che l'ha guarito nel corpo, l'ha toccato nel cuore e lo rende capace di sentire le cose in modo diverso) e ad una nuova condotta (e va’ : l'uomo diventa discepolo, tanto che la fede nel Salvatore gli sarà ormai cammino sicuro di umanità, di un'umanità aperta, solidale, trasfigurata).

"La tua fede ti ha salvato" : è il tutto della vita vissuto a partire da un punto, il punto di quell'incontro con il Salvatore che irradierà tutta la vita perché sono state toccate le radici del cuore.

Se nel racconto del miracolo della guarigione dei lebbrosi venivano usati i verbi ‘purificare’, ‘guarire’, ora viene usato il verbo ‘salvare’, ora si fa riferimento alla ‘fede’. Fede, che dà accesso al mistero di Dio che viene in soccorso dell’uomo e lo salva introducendolo nel suo regno che in Gesù si rivela.

Un’ultima annotazione. Quando Gesù accoglie il samaritano che torna a ringraziarlo dice: “Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. ‘Rendere gloria’ è un’espressione semita per ‘dire la verità’. Spesso l’uomo dice cose vere, ma senza dire la verità. Oppure, in altri termini, diciamo di essere sinceri, ma spesso non siamo veri. Il fatto è che la sincerità ha a che fare con il dire quello che sentiamo, mentre la verità ha a che fare con quello che siamo. Ringraziare di un dono ricevuto non significa solo esprimere la propria riconoscenza ma prendere atto della benevolenza dell’altro che ci fa sussistere. Dire la verità implica sempre la responsabilità del nostro essere di fronte a Qualcuno. Questo è mancato ai nove che si sono dileguati, mentre è risultato così determinante per la conversione del samaritano.