Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo di Quaresima

 

4a Domenica

(26 marzo 2006)

 

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2Cr 36,14-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21

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Il perno attorno a cui ruota la liturgia di oggi è ancora dato dal canto all’alleluia: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. La solenne affermazione è tratta dal brano del colloquio di Gesù con Nicodemo, che proprio oggi viene proclamato. Per coglierne tutto il valore, occorre coniugare l’espressione con l’altra affermazione categorica dello stesso brano: “Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo” (Gv 3,13). Con queste ultime parole Gesù introduce il paragone del serpente di bronzo innalzato nel deserto da Mosé narrato nel libro dei Numeri 21,4-9. Se teniamo conto dello sguardo della liturgia, come traspare dalla colletta (“…concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina”), allora comprendiamo come le affermazioni sopra indicate siano porte di accesso al mistero della Pasqua.

Come il serpente di bronzo innalzato nel deserto recava guarigione a coloro che l’avessero guardato, così sarà di Gesù quando sarà innalzato sulla croce. Gesù sta istruendo Nicodemo; lo sta introducendo al mistero di Dio, al mistero dell’immenso amore di Dio per l’uomo che in Gesù riceve il suo sigillo definitivo, ultima e ultimativa rivelazione di Dio. Possiamo soffermarci solo su di un particolare: l’altezza, il fatto che per dare salvezza Gesù debba essere innalzato. Questo particolare nasconde la ‘modalità’ della rivelazione di Dio e costituisce perciò per l’uomo l’accesso a quella rivelazione. E’ da quell’altezza che ci viene la vita eterna, perché da quell’altezza si rivela in tutto il suo splendore l’amore del Padre per l’uomo e l’intimità del Figlio con Lui che di quello splendore è il testimone per eccellenza. Perché quell’altezza? Di cosa parla quell’altezza?

Spesso gli antichi crocifissi, al posto dell’iscrizione di condanna (in latino, INRI= Gesù nazareno re dei giudei) portavano il titolo ‘re della gloria’. È la gloria dell’innalzamento, la gloria che l’altezza procura. E’ la gloria di un amore che manifesta la sua radice dall’alto proprio quando dal basso viene vilipeso e calpestato. E’ la gloria di un amore che rimane libero nel suo dono proprio quando è rifiutato e negletto. Ma, come dice Gesù: “nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo”. Da interpretare oramai: non si può salire al cielo se non discendendo. L’innalzamento della croce mostra la reale discesa di Dio fino all’uomo, fino a consegnarsi all’uomo, fino a star sottomesso all’uomo che lo tradisce e lo calpesta. E proprio perché custodisce la sua divinità nell’essere calpestato, rivela tutta la potenza di un’umanità che è irraggiamento dello splendore di Dio, un’umanità che tutta si muove nell’amore perché sia vinto l’odio, perché il mondo torni ancora a risplendere della presenza di Dio. Così anche per noi non esiste altro modo di salire a Dio se non quello di discendere, di stare sottomessi perché risplenda l’amore di Dio. Quando s. Francesco di Assisi parla di perfetta letizia allude proprio a questo mistero.

La rivelazione dell’umanità come luogo dello splendore di Dio in questo mondo non può che venire dall’alto. Quello che Giovanni chiama ‘dall’alto’, Paolo, nella sua lettera agli Efesini, chiama ‘per grazia’. ‘Dall’alto’ e ‘per grazia’ rivelano il fatto che in Gesù Dio ha fatto grazia di Sé, ha fatto dono di Sé all’uomo e in quel dono l’uomo può ritrovare la potenza della sua umanità. In tal senso acquista particolare risonanza l’altra espressione che usa l’evangelista Giovanni: “Chi opera la verità viene alla luce”. Operare la verità è un’espressione semita che si riferisce al fatto di mettere in pratica i comandamenti. Ma la sfumatura essenziale di significato risulta ormai questa: i comandamenti non sono causa di meriti, ma autorivelazione di Dio che partecipano, all’uomo che li accoglie, la Sua stessa vita, che è amore per noi. Ciò significa che i comandamenti ci aiutano a ritrovare quella ‘umanità’, rivelata dal Signore Gesù, che costituisce la vocazione dell’uomo e che in Gesù riceve il suo sigillo. Se Dio risplende nell’umanità perché sta sottomesso all’uomo fino a farsi calpestare senza lasciarsi distrarre dal suo amore di benevolenza, anche l’uomo vedrà lo splendore di Dio se sta sottomesso ai suoi fratelli senza lasciarsi vincolare da ingiustizie o malvagità. Ma dovrà avere lo sguardo fisso su Colui che di quell’amore, ferito e appassionato, è il testimone per eccellenza, in umanità.