Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo Ordinario

 

6a Domenica

(12 febbraio 2006)

 

_________________________________________________

Lv 13,1-2.45-46; Sal 31; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45

_________________________________________________

 

L’evangelista Marco riassume lo stupore della gente nell’ascoltare Gesù e nel vederlo agire con l’annotazione: “una dottrina nuova insegnata con autorità; comanda agli spiriti immondi”. L’autorità che gli è riconosciuta è il ‘potere’ con cui parla e agisce, potere che si esprime nel suo cacciare i demoni. Ma i demoni sono dichiarati essenzialmente ‘immondi’, cioè capaci di rendere immondi, impuri. Ma immondi rispetto a che cosa? Questa è la domanda di fondo, che incomincia a delinearsi nel racconto evangelico con la guarigione del lebbroso e che viene ulteriormente specificata dalla successiva guarigione del paralitico, che costituirà la lettura evangelica di domenica prossima.

Il lebbroso aveva un terribile statuto particolare. Dice la Legge: “Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento” (Lev 13,45-46). Davanti al lebbroso che si fa avanti e si presenta a Gesù contravvenendo alla legge, antichi codici riportano la lezione: ‘sdegnato’, invece che la lezione ‘mosso a compassione’. Le nostre traduzioni leggono: “Se vuoi, puoi guarirmi!”, “Lo voglio, guarisci!”, ma letteralmente il testo suona: “Se vuoi, puoi mondarmi”, “Lo voglio, sii mondato”. Nel caso del lebbroso, la sua malattia comportava direttamente una ‘immondezza’ tanto da venir separato dalla comunità. Oltre il peso sociale dell’esclusione, la lebbra comportava l’esclusione dal culto, dall’accesso alla santità di Dio che la Legge definiva in termini di partecipazione alla vita del popolo santo di Dio e al culto del vero Dio. Quando Gesù guarisce il lebbroso, non guarisce semplicemente un malato, ma modifica radicalmente la condizione interiore del malato restituendolo ad una vita ‘santa’. Proprio qui si mostra il prodigio che Gesù opera, che va ben al di là di quella guarigione. La vita in funzione della santità di Dio non è più definita secondo i termini della legge. La discriminante tra santo e non santo si sposta e i confini sono radicalmente cambiati. In quel “Lo voglio” proferito da Gesù non è da leggere soltanto la compassione del Signore per un uomo malato e schiacciato, ma l’ansia di riportare il regno di Dio nel cuore dell’uomo, la fretta e l’ardore di mostrare come l’amore di Dio che raggiunge i cuori fa risplendere in modo nuovo l’umanità che li sostanziano. E’ come se dicesse: ‘ardo dal desiderio di mostrarvi quanto è grande l’amore del Padre’, ‘bramo che il suo amore vi raggiunga’, ‘voglio che la vostra umanità risplenda di tutta la sua luce’. Nel suo ‘volere’ va letto il desiderio di compiere il disegno del Padre, di riscattare gli uomini non dalle malattie, ma dal peccato, di cui la malattia della lebbra era il segno per eccellenza. Tanto che quando il Signore Gesù si presenta, nella sua Passione, come uomo dei dolori, sono le parole del profeta a risuonare, accorate ma tremende "non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia ..." (Is 53,2-3). Sono le parole confacenti a un lebbroso. Il Signore si è addossato i nostri mali da portarne tutto l'orrore, come un lebbroso.

Se nell’antifona d’ingresso abbiamo cantato: “Sii per me difesa, o Dio, rocca e fortezza che mi salva, perché tu sei mio baluardo e mio rifugio”, l’immagine di fondo presente all’anima è l’attacco che i demoni le sferrano. Ed essendo i demoni immondi, non possono che attaccare la purità del cuore. Ma come definire la purità? La colletta ci fa pregare: "Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide e dalle discriminazioni che ci avviliscono". Dividere e avvilire sono le due caratteristiche della malattia della lebbra. Chi ne era affetto era allontanato dal consorzio degli uomini perché 'immondo', capace cioè di contagiare col suo male. I peccati nostri hanno lo stesso destino: insidiano la fraternità, irrigidiscono i rapporti, contaminano il cuore da renderlo inaccessibile al cuore degli altri, separano ed opprimono, impediscono al Volto di Dio di risplendere. Per questo il peccato è 'orribile': rende la vita paurosa e temibile. Così la purità, con Gesù, viene definita come spazio luminoso, spazio che torna a risplendere (=guarigione) per rapporti fraterni pacifici, dove il Padre è visto nel suo amore per noi. Ad occupare l’atmosfera del cuore non c’è più l’immondezza dei demoni, ma lo splendore del Figlio di Dio che permette all’umanità di compiersi finalmente e glorificare così il Padre.

Quando il lebbroso guarito, nonostante l’invito contrario di Gesù, non riesce a frenare il bisogno di annunciare a tutti la sua guarigione, il testo annota: “cominciò a proclamare e a divulgare il fatto”. In realtà però il testo dice semplicemente: “cominciò a proclamare e a divulgare la parola”. E’ la parola di Gesù diventata per lui fatto. Non si annunciano semplicemente parole, ma fatti che rivelano la potenza della parola. Quello che parla ai cuori sarà sempre la Parola, capace di operare in chi ascolta le stesse cose meravigliose di cui porta testimonianza chi annuncia.