Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo Ordinario

 

3a Domenica

(22 gennaio 2006)

 

_________________________________________________

Gio 3,1-10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-20

_________________________________________________

 

Gesù inizia la sua predicazione con le stesse parole del Battista: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (cfr Mt 3,2). Non c’è proprio differenza tra i due annunci? Gesù prosegue semplicemente l’opera del Battista? Il Battista ‘esorta’, mentre Gesù ‘mostra’: qui sta la differenza. Il Battista presagiva la presenza del Regno, si sforzava di aprire le coscienze a quella presenza intuita; Gesù ne fa vedere la presenza, ne svela la potenza da parte di Dio che viene in soccorso degli uomini, che vuol compiere in loro e per loro le sue promesse, finalmente.

Il canto al vangelo della liturgia ci introduce direttamente nella ‘novità’ dell’annuncio di Gesù: “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, ci conceda lo spirito di sapienza, perché possiamo conoscere qual è la speranza della nostra chiamata”. La conversione è in funzione di una sapienza, e di una sapienza che viene dall’alto; non solo, ma anche in funzione del godimento di una promessa che si traduce in speranza, fermento di vita nuova nel Cristo che ci ha svelato i segreti del Regno. Quando nella colletta abbiamo pregato: “Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà”, abbiamo chiesto di convertirci al Cristo, di agire in modo che nella nostra vita risplenda il Cristo, perché in Lui troviamo tutto il Bene che da Dio proviene per l’uomo. Il volere di Dio è che conosciamo il suo Cristo, il suo diletto Figlio!

Forse non ci rendiamo conto del tesoro che costituisce per il nostro cuore la rivelazione del Cristo. Percepire Cristo come ‘il tesoro’ del nostro cuore significa percepirsi dentro la sapienza di Dio che ci precede, ci ingloba e ci accompagna. Significa percepire a nostro favore quello che il libro di Giona descrive a proposito degli abitanti di Ninive: ‘Dio si impietosì’. Cogliersi a partire da una sapienza significa supporre la precedenza di un’iniziativa che fa da riferimento fondante alla nostra esistenza. Nessuno di noi sceglie di venire al mondo né sceglie da chi, dove e quando venire al mondo. L’unico modo possibile per vivere ‘bene’ la propria esistenza è quello di viverla da dentro un’alleanza che ci precede, da dentro una relazione di confidenza, da dentro un’intimità che riempie e dà senso, al di là delle ferite e delle oppressioni che ci affliggono. E chi svela le ‘intenzioni’ di Dio per il mondo, chi ci rende raggiungibili dalla promessa di vita di Dio per l’uomo è proprio il Cristo. E quando lui annuncia il regno e porta al nostro cuore l’invito di Dio alla conversione non fa che svelarci quelle intenzioni, per farci sentire la pressione di un amore che ci fa vivere nella speranza, per noi e per tutti, per me come per il mondo.

Del resto è assai caratteristico che nel vangelo la ‘conversione’ sia espressa dall’immagine del seguire Gesù. A dire il vero, spesso il testo evangelico non parla di ‘seguire’, ma più direttamente di ‘andare dietro’, di ‘stare dietro’, di ‘mettersi dietro’ a Gesù. In questo, ascolto ancora l’eco delle parole di Dio a Mosè: mi si può vedere solo di spalle. Quando Gesù chiama i suoi apostoli, li invita a porsi dietro a lui, a stare dietro a lui. E quando Pietro, spaventato della predizione della passione da parte di Gesù, cercherà di distoglierlo da quella strada, si sentirà dire: stai dietro, poniti dietro, non volere stare davanti! (cfr Mc 8,37). Quando, alla fine del vangelo di Giovanni, dopo che Gesù gli ha predetto che avrebbe sofferto il martirio per lui, Pietro si sente ancora dire: vienimi dietro. In quel ‘venire dietro a’, in quel ‘porsi dietro’, in quel ‘camminare dietro a’ sta il godimento della promessa di Dio che ha raggiunto l’uomo. Non sta tanto lo sforzo di seguire il Signore, ma la percezione di una rivelazione che si dispiega al cuore dell’uomo. A quella percezione tende la conversione, se vogliamo che si traduca in speranza di vita.

In tale ottica, le parole di Gesù acquistano tutta un’altra potenza. ‘Il tempo è compiuto’, vale a dire: non esiste tempo che non sia raggiunto dalla promessa di Dio, dalla rivelazione dell’amore di Dio. La stessa espressione di Paolo ai Corinzi: ‘il tempo si è fatto breve’ significa: è tale la gioia della scoperta del tesoro che tutto il resto passa in secondo piano. Non c’è tempo per gustare in verità nient’altro, in quanto tutte le cose hanno un unico scopo: farmi gustare quella verità. E se non mi portano a quella verità, il mio cuore non le riconosce degne di attenzione. Ma se quella verità è gustata, tutto è degno di onore e fonte di benedizione. ‘Il regno di Dio è vicino’: lo potete toccare, lo potete vedere, lo potete gustare in me. ‘Convertitevi’: lasciatevi invadere dalla fiducia nella promessa di Dio che si compie per voi. ‘Credete al vangelo’: ritenete Dio sufficientemente potente per compiere la sua promessa in voi e capace quindi di soddisfare gli aneliti del vostro cuore. Tutto questo dobbiamo imparare a percepire nell’annuncio di Gesù.