Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo Ordinario

 

2a Domenica

(15 gennaio 2006)

 

_________________________________________________

1Sam 3,3-10; Sal 39; 1Cor 6,13-20; Gv 1,35-42

_________________________________________________

 

Durante il tempo natalizio, abbiamo avuto modo di ascoltare più volte il brano evangelico di oggi. L’accento cadeva sulla testimonianza del Battista che annunciava al mondo la presenza del Figlio di Dio, Verbo fatto uomo, Agnello innocente, splendore dell’amore del Padre per gli uomini. Ora l’accento è posto sulla testimonianza dei discepoli che incontrano il Messia. Il brano racconta cosa è successo loro, ma non semplicemente a modo di cronaca, come farebbe un cronista. La pagina evangelica è immensamente più densa e misteriosa del semplice racconto di un fatto accaduto, anche se l’estrema precisione dei dettagli evoca evidentemente l’intensità di una esperienza indimenticabile. Sembra logico supporre che l’altro discepolo, quello non nominato, sia lo stesso evangelista Giovanni che, dopo molti anni, alla fine della sua vita, scrivendo il suo vangelo, ritorna a quell’episodio di giovinezza che ha cambiato tutta la sua vita:  “Che cercate?” … “Dove abiti?” … “Venite e vedrete” … “Andarono dunque e videro dove abitava”.

Quando Giovanni, nel prologo del suo vangelo, annuncia che il Verbo si è fatto carne, aggiunge subito dopo: “e noi vedemmo la sua gloria” (Gv 1,14). Ha incominciato a essere afferrato da quella gloria proprio in quel giorno, alle quattro del pomeriggio, quando, sull’invito del suo maestro, il Battista, va da Gesù con Andrea. Per inciso, non va dimenticato che il verbo greco tradotto con ‘abitare’ è lo stesso verbo che Gesù userà con insistenza nel discorso all’ultima cena a proposito della vite e dei tralci quando dirà: “rimanete nel mio amore” (cfr Gv 15). È come se Gesù rispondesse ancora alla domanda dei suoi discepoli “dove abiti?” e dicesse: siete venuti da me, avete visto dove io dimoro (nell’amore del Padre) e così voi, ora, rimanete nel mio stesso amore. È a questa esperienza che Giovanni allude quando annota ‘andarono e videro dove abitava’. Il racconto ha il sapore di un’intera vita; ha la potenza, non di un ricordo, ma di una radice, di un principio, di una fonte che continua a sgorgare e che ha sconvolto tutta la sua vita.

Il ritornello responsoriale al salmo 39 proclama: “Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà”. Non esiste commento più adatto all’obbedienza del giovane Samuele, nel tempio, al profeta Eli, obbedienza che la chiesa legge e interpreta riferendola al Verbo fatto uomo che rivela al mondo quanto sia grande l’amore di Dio per gli uomini. E’ l’obbedienza come spazio di intimità, come luogo di tale comunione da attirarci dentro tutto e tutti. E’ la stessa obbedienza che caratterizza i discepoli del Verbo di Dio fatto uomo, che non hanno altro principio di essere e di azione se non quella ‘comunione’ con il Figlio e con il Padre che investe il mondo della sua grazia. Quando Giovanni e Andrea, sull’invito del loro antico maestro, il Battista, seguono Gesù, non hanno domanda più vera e pressante da esprimere: “Dove abiti?”. E quella domanda costituisce già, nell’intensità del desiderio che comporta, una risposta all’interrogazione di Gesù: “Che cercate?”. Gesù aveva visto il cuore dei futuri suoi discepoli; aveva visto che non avevano altro desiderio se non quello che esprime il salmo 39, di compiere cioè il volere di Dio. In altri termini, il desiderio dei loro cuori può essere letto così: che la volontà di Bene di Dio ci raggiunga; che possiamo esprimere nelle opere tutto quel Bene per tutti; che possiamo vivere dentro quel Bene in modo che nessun male ce lo veli o ce lo porti via perché quel Bene risplenda su tutto. E Giovanni ricorda quel desiderio giovanile quando ormai ne aveva conosciuta tutta l’estensione e la profondità, avendo seguito il Maestro, essendo stato reso partecipe dei suoi segreti, attratto ormai dal e al Suo volere senza più resistenze. L’intimità che aveva goduto gli aveva permesso di ritrovarsi in una storia che era immensamente più grande di lui, ma adatta a lui, la sua. E quello che è successo a Giovanni e a Andrea, come a tutti gli altri apostoli, è narrato perché descrive quello che può succedere a ciascuno di noi, perché se avviene, avviene a quello stesso modo. Così, l’esultanza finale del brano: “Abbiamo trovato il Messia”, non è solo l’esultanza della scoperta fatta, ma l’esultanza che dà principio alla missione: la gioia non può essere trattenuta, non può essere goduta da soli. Quell’esultanza diventa allora il segno della promessa di Dio che si compie, il segno di quanto la promessa di Dio che si compie costituisce la letizia del cuore dell’uomo, il frutto dell’obbedienza e la responsabilità della missione.

Dietro la volontà di seguire il Signore, di osservare i suoi comandamenti, di compiere il volere di Dio, c’è sempre la domanda del cuore dell’uomo: “Ma dove abiti?”, così come dietro ogni rivelazione di Dio al nostro cuore c’è sempre l’esperienza del “videro dove abitava”. E’ il desiderio di intimità, di comunione col proprio Dio, il desiderio di vedere Colui che il proprio cuore ama, il desiderio di trovare un luogo ove tutti si possa abitare in pace. Sebbene, a volte, la domanda sia così assillante che tutto l’accento sembra posto sul ‘ma’, perché ancora non si è scoperto nulla, perché il fascino e la gloria della rivelazione del Signore rimangono nascosti, come impenetrabili. Ma il Signore Gesù è venuto proprio a rendere accessibile quella rivelazione, a tutti, nessuno escluso. Perché non ritenerci raggiungibili dal suo invito?