Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo Ordinario

 

27a Domenica

(8 ottobre 2006)

 

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Gn 2,18-24; sal 127;Eb 2,9-11;  Mc 10,2-16

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Le letture di oggi parlano del valore del matrimonio agli occhi di Dio. In che prospettiva, su quali fondamenti? Il brano di vangelo riporta l’interrogazione dei farisei a Gesù: “E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Si annota però che la domanda gli è posta per metterlo alla prova. In cosa consiste allora la prova, il tranello? Non è facile intuirlo subito. Il brano va letto con molta attenzione perché diversi dettagli non sono affatto scontati. Gesù, come al solito, ritorce la domanda e prende le distanze subito: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Ma i farisei si guardano bene dal rispondere che Mosè ha ordinato di ‘scrivere l’atto di ripudio e di rimandarla’; si limitano a dire che Mosè ha permesso. Perché? Eppure Gesù, quando a sua volta ribatte, parla effettivamente di norma, di comando. Perché?

I farisei sembrano intuire che l’insegnamento di Gesù vada contro la Legge. Vogliono che lo dichiari apertamente per aver motivo così di accusarlo. Tutti sapevano che il ripudio era una consuetudine pacificamente accettata e che Mosè aveva avvallato con un’indicazione precisa. Il passo della Scrittura corrispondente è Dt 24,1-4. Ma effettivamente non c’è un ‘comandamento’, una ‘norma’ del ripudio in tutta la Scrittura. La legislazione di Mosè intendeva risolvere, a favore della donna, una certa situazione di precarietà. Come se dicesse: so che uno può ripudiare la sua donna, ma non lo faccia alla leggera perché poi non potrà più riprenderla e lo faccia solo nel caso trovi nella donna ‘qualcosa di vergognoso’. Ai tempi di Gesù la norma contenuta in quel passo poteva essere interpretata in senso restrittivo (vale solo se la donna abbia commesso adulterio) oppure in senso esteso (vale per qualsiasi motivo). A ragione quindi i farisei rispondono che Mosè ha solo permesso.

Tuttavia Gesù vuole arrivare al cuore del problema. In gioco non c’è l’interpretazione restrittiva o estesa di una norma e neppure la norma stessa, ma il fondamento su cui la norma prende valore. Il valore di riferimento non è la consuetudine, per quanto avvalorata, sebbene in semplice concessione, dalla stessa Legge, bensì l’agire di Dio che esprime il suo volere quanto all’uomo. E Gesù richiama l’atto della creazione: “Dio li creò maschio e femmina; per questo l' uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola”. Quella ‘benedizione’ di Dio non è mai venuta meno, nonostante i peccati e le fragilità umane. E quella ‘benedizione’ costituisce l’asse di riferimento perenne del valore del matrimonio. Ma se ci chiediamo qual è la ragione sulla quale si infrange la liceità del ripudio, per giunta riconosciuto solo all’uomo nell’ambiente giudaico, allora il riferimento all’agire di Dio acquista un valore anche dal punto di vista del cuore dell’uomo. In realtà Gesù critica la Legge e difende l’onore di Dio in quanto richiama il principio di uguaglianza tra l’uomo e la donna. Tra loro sono diversi i compiti, le modalità di agire, gli spazi e le dinamiche affettive, ma godono della stessa dignità. Nell’amore vige la stessa dignità.

È del resto significativo che il canto al vangelo riprenda un passo della prima lettera di Giovanni: “Se ci amiamo a vicenda, Dio è in noi e la sua carità in noi è perfetta”  (Il versetto completo suona: Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l' amore di lui è perfetto in noi). Come a suggerire: la dignità dell’amore, che rende l’uomo e la donna di pari valore, deriva dal fatto che solo attraverso l’amore possiamo fare esperienza di Dio sia della sua vicinanza sia della conoscenza di Lui, a pari titolo tra uomo e donna. E quando un uomo e una donna sono consacrati nel loro amore, in gioco è la ‘consumazione’ dell’amore di Dio che si rivela in essi.

Il modo di ragionare e di comportarsi di Gesù è quello della fede. Anche nella pericope seguente sulla sua accoglienza dei bambini. Gesù vede ogni cosa in funzione del Regno e se i bambini disturbano i grandi è perché i grandi non vedono la realtà del Regno, dato solo a chi è come i bambini. La dignità delle persone non è in funzione del loro valore o importanza personale, ma in funzione della venuta del Regno di Dio, della possibilità cioè di godere dello splendore dell’amore di Dio. Così, dopo che Gesù aveva annunciato per la seconda volta che avrebbe dovuto patire e morire per essere fedele alla via di Dio e mostrare al mondo il suo amore, ha richiamato i discepoli all’amore vicendevole senza cedere a rivalità o ambizioni, a stare ‘uguali in dignità’ nell’amore tanto tra di loro quanto nei rapporti tra uomo e donna.