Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo Ordinario

 

23a Domenica

(10 settembre 2006)

 

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Is 35,4-7;  sal 145;  Gc 2,1-5;  Mc 7,31-37

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Gesù non ha predicato ai pagani, ma ha attraversato le loro terre ed ha compiuto alcuni miracoli a favore di persone pagane. Il brano di vangelo di oggi riporta appunto il secondo di questi miracoli in terra pagana, la guarigione di un sordomuto. Aveva appena guarito la figlia della donna sirofenicia, quella che aveva saputo, nella sua disperazione e nella sua fede, tenergli testa. Gesù le aveva detto: “Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. E lei, fiduciosa: “Ma essa replicò: “Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli”. Se con questa donna Gesù aveva agito con la potenza della sola parola, nel miracolo del sordomuto agisce con la potenza dei suoi gesti: mette le dita negli orecchi, tocca con la sua saliva la lingua del malato, gesti che la Chiesa ha conservato nella celebrazione del sacramento del battesimo. La sua parola è potente, ma anche i suoi gesti sono potenti, e perfino le sue vesti sono ‘potenti’ (pensiamo all’emorroissa, alla trasfigurazione).

È singolare che questo, come altri miracoli, non facciano risaltare tanto la guarigione, quanto la dinamica che la guarigione comporta: si tratta di miracoli di ‘apertura’. Gesù non è un mago, sebbene taumaturgo; non pronuncia parole magiche, ma semplicemente la parola ‘effata’, ‘apriti’. La sordità comporta spesso anche il disturbo della parola. In effetti, il vangelo fa riferimento a un sordo che farfugliava, che parlava confusamente, in modo incomprensibile. Guarire comporta allora l’apertura degli orecchi, lo scioglimento della lingua, come per i ciechi l’apertura degli occhi. Questo particolare, insieme ad altri, allude ad un significato più profondo del miracolo: non si tratta solo di rivelare la potenza di guarigione di Gesù, ma il fatto che quella potenza indica qualcos’altro, verso cui Gesù vuol far convergere il cuore, nella fede. Il miracolo cioè è sempre in funzione della rivelazione del mistero della Persona di Gesù in rapporto alla grandezza dell’amore di Dio per gli uomini; è sempre segno dei tempi messianici ormai compiuti in Gesù. Due particolari soprattutto fanno convergere lo sguardo verso quel punto. La lode finale in bocca alla gente che aveva visto il miracolo suona: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”. Quando Dio, alla fine della creazione secondo il racconto della Genesi, contempla ciò che ha fatto, esclama: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). L’espressione della gente rivela che siamo in presenza ormai della nuova creazione, quella dei tempi messianici, quando Dio rinnova ogni cosa ridando a ciascuna cosa il suo splendore eterno perché tutto torni a proclamare la gloria del suo amore. Il secondo particolare è data dalla particolare espressione con cui viene designato il sordomuto: un sordo che parlava confusamente. E quando viene guarito si dice che parlava correttamente, distintamente. Ora la confusione del linguaggio è la conseguenza della stoltezza degli uomini che vogliono competere con Dio per il dominio della terra, come ben si vede nell’episodio della torre di Babele. Rinunciando alla gloria di Dio gli uomini si troveranno estranei tra di loro tanto da non capirsi più. La ‘guarigione’ avviene il giorno di Pentecoste quando la comprensione è data nonostante la diversità delle lingue e la comprensione si baserà proprio sul fatto che tutti riconosceranno le meraviglie di Dio, ciascuno nella sua lingua. Una volta che gli orecchi possono ascoltare la Parola, la lingua sarà libera di glorificare Dio perché in quella parola, sanante, è riconosciuta la Presenza del Signore, presenza che non ci sarà mai più tolta e che unifica tutti. Il salmo 45 che viene proclamato oggi può essere letto come la descrizione dell’umanità che attende la salvezza, il compimento cioè della promessa di vita, di bene, di felicità, inscritta nel suo intimo e la cui nostalgia è acuita dalle ferite e dalle oppressioni del peccato simboleggiato dalle varie ‘malattie’ elencate. E la salvezza riguarda tutti, perché in Gesù, che ha tolto il muro di separazione (cfr. Ef 2,13-18), non c’è più giudeo e pagano, trovando tutti la stessa consolazione e lode nello stesso amore di Dio.