Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Solennità e feste

 

Ss. Trinità

(11 giugno 2006)

 

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Deut 4,32-40; Sal 32; Rom 8,14-17; Mt 28,16-20

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La liturgia oggi, celebra la confessione della fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Ora, la confessione della fede non esprime semplicemente la convinzione dei credenti in certi dati di verità, ma più propriamente esprime l’esperienza che ha permesso la formulazione di quei dati. Il principio della proclamazione del Credo nella liturgia, come di tutte le formule di confessione della fede, si radica nella grande esperienza religiosa del popolo di Israele: Dio non è un oggetto di conoscenza, ma un Soggetto di relazione. Non si arriva a Dio per via speculativa, ma dentro una storia di salvezza, accogliendo l’iniziativa di Dio. Dire “io credo” significa prima di tutto dire: benedico colui che ha fatto questo e questo per me, accetto di rispondere all’alleanza che ha voluto offrirmi, sono suo servo, erede delle sue promesse e fruitore del suo regno. La proclamazione delle Scritture come la celebrazione liturgica sono percepite come ‘memoriale’ dell’iniziativa di Dio per l’uomo, il quale è chiamato a riconoscere l’amore di Dio per lui nella sua storia che diventa sacra, storia di salvezza.

Celebrare il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo significa dunque riconoscere l’azione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nel mondo, in me, azione che essenzialmente è azione di salvezza, azione di rivelazione del loro amore e della sua condivisione. Nel salmo responsoriale si canta: “Ma il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni” (Sal 32,11). E’ il versetto che presiede al commento al Padre nostro di s. Massimo il Confessore. Tutto quanto Dio ha da dirci e tutto quanto Dio compie per noi si ritrova nella mirabile preghiera del Padre nostro, sintesi del mistero della Trinità. Tramite Gesù e in Gesù possiamo aprirci a quel mistero, restarne sopraffatti e stupiti e adoranti. Ed è da dentro quello stupore e quella adorazione che possiamo ‘pretendere’ di sfiorare la conoscenza del Volto di Dio, del suo amore immenso per noi. Quello che a noi manca nel recitare/proclamare la preghiera è la profondità di intimità con cui è stata proferita e insegnata da Gesù stesso. Ma solo guidati da quella intimità arriviamo a Dio in verità.

Quando nella lettera ai Romani Paolo proclama che i figli di Dio (= coloro che conoscono Dio) sono coloro che lo Spirito di Dio guida, dobbiamo intendere: lo Spirito, inviato da Gesù, ci guida a entrare nell’alleanza che Dio ci offre in Gesù, ci guida a proclamare il ‘Padre nostro’ in piena verità per il nostro cuore, condividendo secondo la capacità del nostro cuore la stessa intimità di vita e di conoscenza del Signore Gesù con il Padre, nello Spirito. Solo così possiamo sperare di osservare i comandamenti di Dio, come ci ricordava la prima lettura. La pratica dei comandamenti presuppone l’esperienza della visione: per gli israeliti, l’intervento di Dio nell’Egitto e la rivelazione sul Sinai; per i cristiani, l’esperienza dell’intimità di conoscenza del Signore Gesù, percepito presente e capace di soddisfare ogni desiderio, e dalla parte di Dio (ci fa conoscere in verità il volto di Dio) e dalla parte dell’uomo (ne compie l’umanità fino a farla risplendere in tutta la sua autenticità), come lui stesso proclama: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra… Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. In effetti i comandamenti di Dio non provengono da un imperativo morale, ma sono in funzione di un’alleanza.

Ci aiuta a collocarci nel clima interiore adatto a cogliere la qualità del mistero della festa di oggi  il passo evangelico:"Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11,25-30). Si tratta forse di uno dei passi più solenni e più intimi del vangelo. Tutto deriva dalla benevolenza di Dio per l’uomo. A Lui è piaciuto cercare l’uomo, volerlo compagno del suo amore. In Gesù l’ha trovato e in Lui trova tutti noi. La compiacenza che il Padre ha espresso per Gesù al battesimo e nella trasfigurazione (“Questi è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”) è onnicomprensiva di tutti i figli degli uomini perché l’amore di Dio risplenda e la gioia dell’amore sia condivisibile tra Dio e l’uomo. Proprio quello che il mistero della Trinità proclama.