Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo di Avvento

 

3a Domenica

(11 dicembre 2005)

 

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Is 61,1-2.10-11;  1Ts 5,16-24;  Gv 1,6-8.19-28

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Anche in questa domenica il personaggio di riferimento è il Battista, il testimone del Messia di cui ci prepariamo a celebrare il Natale. Ma questa volta il brano è tratto dal vangelo di Giovanni. Come Marco e a differenza di Matteo e Luca, Giovanni non narra l’evento della nascita di Gesù a Betlemme. Il suo sguardo si spinge oltre, fino ai confini della storia, oltre la storia. Giovanni risale alla storia eterna dell’amore di Dio per gli uomini: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio…” per arrivare ad annunciare: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,1.14). Il Battista è il primo testimone di quella ‘gloria’ che via via apparirà anche agli apostoli, a tutti i discepoli e ai seguaci loro, fino a noi, fino alla fine del mondo. La sua testimonianza è ancora tesa a dissipare le incertezze, i dubbi: ‘io non sono…’. Il Battista non è né il Messia né Elia né il Profeta. Condivide con la gente l’attesa del Messia, senza poter specificare oltre ma avrà la ‘capacità’ profetica di riconoscerlo presente nel mondo. Toccherà allo stesso Messia dire poi chi sia, mostrarsi nel suo mistero; sarà Lui ad amministrare appunto il battesimo in Spirito, mentre il Battista, con il suo battesimo di acqua, ne prepara solamente la manifestazione.

La chiesa, però, sulla base della sicura testimonianza del Battista, intravede già l’azione del Messia, che riassume in un unico movimento, quello della letizia. Il Messia, il Cristo Signore, è la ‘letizia’ del mondo. Tutta la liturgia di oggi ne è la celebrazione; è un assaggio di quello che sarà rivelato al mondo con la nascita dell’Emmanuele, il Dio con noi. L’antifona di ingresso risuona gioiosa: “Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino”. La colletta fa pregare: “Guarda, o Padre, il tuo popolo, che attende con fede il Natale del Signore e fa’ che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza”. Il brano di Isaia descrive ‘il lieto annunzio’ di cui è portatore l’Inviato di Dio. Il salmo responsoriale fa gridare: “la mia anima esulta nel mio Dio”. Paolo esorta: “State sempre lieti…”.

Qual è la radice di tale letizia? E’ la domanda che trapela da tutta la liturgia. A questa domanda nessuna risposta in generale vale perché ogni cuore la formula con un accento particolare, da dentro la sua storia, storia che dovrà essere attraversata dalla verità della risposta. Ma non è inutile che ognuno si soffermi davanti allo splendore che riluce per tutti, allo stesso modo, sebbene con esiti differenti. Quando il profeta Isaia rivela i ‘segni’ di riconoscimento dell’Inviato di Dio al suo popolo, tutti si riconducono al movimento della letizia, nel senso che la sua azione sarà quella di rallegrare, di guarire, di liberare. Sarà la risposta di Dio al tormento del cuore dell’uomo, all’afflizione della vita, all’oppressione del cuore. Se il cuore non accetta di essere liberato, non potrà essere guarito e se non tornerà sano non potrà trovare letizia. Preparare le vie al Signore, da questo punto di vista, significa predisporsi all’esperienza della letizia.

E quando Paolo, nella prima lettera ai Tessalonicesi, esorta i credenti: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie”, vuole illustrare la fede nel Signore Gesù come esperienza di letizia. Chi ha sperimentato ‘la volontà di Dio in Cristo Gesù’, vale a dire: chi ha provato l’amore di benevolenza di Dio sul mondo di cui Gesù è il Testimone e il Rivelatore, vive nella letizia, perché può stare sempre lieto, è capace di intimità (segno di una relazione forte e goduta, prima con Dio, poi con se stessi, il prossimo e le cose, perché guarito e liberato; qui si cela il mistero della preghiera), sa rendere grazie in ogni cosa (all’intimità si accompagna l’umiltà come la capacità di accogliere la vita nel suo splendore, senza rivendicazioni e senza pretese). Il legame tra queste tre cose è tanto forte che ognuna, praticata in sincerità, fa ottenere anche le altre due: chi vuole rendere grazie in ogni cosa si ritroverà presto guarito e liberato da ogni forma di pretesa e potrà godere dell’intimità che sogna e della gioia a cui anela. Chi prega in sincerità ritroverà presto la libertà interiore per stare lieto e rendere comunque grazie. Chi è davvero lieto non può non pregare incessantemente e vivere la vita in ‘eucaristia’, in rendimento di grazie. Così tutta la vita del credente sarà vissuta nel segno della ‘letizia’, la letizia perché il nostro Salvatore si è rivelato nel mondo e perché la luce di quella rivelazione ha toccato il nostro cuore. In vista di tale esperienza di rivelazione della letizia la chiesa si prepara alla festa del Natale.