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Sesto ciclo

Anno liturgico B (2017-2018)

Tempo Ordinario

XXV Domenica

(23 settembre 2018)

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Sap 2,12.17-20;  Sal 53,  Gc 3,16-4,3,  Mc 9,30-37

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La liturgia ci introduce nei sentimenti di Gesù e dei discepoli con la lettura del libro della Sapienza. Il passo non va letto solo come un annuncio profetico della passione di Gesù, ma per la prospettiva nella quale la profezia dona la sua luce. Il brano riporta il discorso degli empi introducendolo con le parole: “Dicono fra loro sragionando…” e concludendolo: “Non conoscono i segreti di Dio”. Ecco, la rivelazione di Gesù consiste nell’essere messi a parte dei segreti di Dio, che sono appunto i misteri del regno dei cieli. E l’annuncio della passione rivela quanto i segreti di Dio siano lontani dalla mente degli uomini, eppur così essenziali alla vita dei loro cuori.

Si tratta del secondo annuncio della passione. I discepoli sono già stati confortati con la visione di Gesù trasfigurato sul Tabor e, curiosamente, l’annuncio segue il miracolo della guarigione del ragazzo sordomuto e epilettico con la supplica del padre angosciato: ‘credo, aiuta la mia incredulità’.  Gesù, che si sta dirigendo a Cafarnao, non vuole incontrare nessuno perché ha premura di istruire i suoi discepoli, li vuole introdurre nel suo segreto. Ma i discepoli non comprendono e continuano tra di loro, lungo la strada, a discutere chi fosse il più grande. Discussione più impropria, rispetto a quanto Gesù aveva appena annunciato, non potevano fare. È Gesù a provocare, a volere che vengano manifestati i pensieri che sicuramente sapevano non essere così santi. Gesù però non rimprovera; insegna, istruisce.

La ricerca della grandezza è tema sensibile per il cuore dell’uomo. Gesù non condanna i discepoli; accetta che l’uomo desideri essere grande. La sfida è appunto: quale grandezza cercare? Così al desiderio di grandezza dell’uomo segue l’indicazione della sapienza dall’alto che indica la strada e la natura della grandezza secondo Dio, come fa pregare la colletta: “O Dio, Padre di tutti gli uomini…donaci la sapienza dall’alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve”. La qualità della grandezza gradita a Dio è nell’ordine della comunione, della gioia per l’altro, della gioia condivisa con il Maestro: questo è il senso del servizio.

Quando Gesù dice: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”, pone se stesso a modello della grandezza. Di sé dice: “Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Dopo aver lavato i piedi agli apostoli dice: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica” (Gv 13,13-17).

Voler essere il servo di tutti significa allora voler essere trovato in Cristo. Voler essere il primo significa voler essere ritrovato in colui che è il Primo e che si è fatto servo di tutti.  Qui si scopre la grandezza che Dio gradisce. Lo dice l’annuncio della passione: quel Figlio, che sarà esaltato, dovrà patire. Da intendere: non certo che il ‘soffrire’ abbia qualche titolo di merito per ottenere grandezza, ma che è preferibile custodire l’amore per l’altro comunque; non certo che occorra rassegnarsi al male, ma che si accetti il fatto che il bene sia comunque preferibile e quindi si attraversi il male senza perdere il bene.

E perché è necessario percorrere questa via? L’esempio dei bambini ce lo illustra. Nel testo di Marco Gesù prende un bambino e dice: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me” (Mc 9,36). Gesù sta illustrando la grandezza per il regno dei cieli, che è grandezza di rivelazione dell’amore di Dio per gli uomini. Essere ultimo non significa essere dietro a tutti gli altri, ma solo servo di tutti perché l’amore di Dio risplenda e questo comporta che non ci sia cosa o persona più significative per il nostro cuore da indurlo a preferirle contro l’amore di Dio. Con il corollario evidente, anche se assolutamente mai scontato: non c’è grandezza vera se non nel preferire tutti a noi stessi perché solo così l’amore di Dio splende. Accogliere un bambino, quindi al di là di ogni riconoscimento mondano del bene che si compie, significa vivere la propria umanità come espressione della gloria del Signore. Significa far splendere in questo mondo la gloria del Signore.

Se però leggiamo il passo parallelo di Mt 18,1-5, il riferimento ai bambini acquista un significato ancora più profondo. Nel testo di Matteo leggiamo: “Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli”. Purtroppo la traduzione ‘si farà piccolo’ è fuorviante rispetto al contesto di rivelazione dell’annuncio della passione. In effetti, il testo comporta il verbo ‘umiliare’ e la traduzione sarebbe: ‘chi umilierà se stesso come un bambino’. Il significato è più diretto rispetto all’annuncio della passione, perché Gesù è proprio colui che ha umiliato se stesso, facendo risplendere, nella sua umiliazione, tutta la potenza dell’amore di Dio per gli uomini e questo è motivo della sua grandezza. Allora il riferimento al bambino può essere compreso sia nel senso della confidenza verso il Padre sia nel senso della debolezza estrema patita e diventata luogo di gloria. A tal punto, che Gesù si confonde con ogni ‘bambino’, cioè con ogni uomo nella sua debolezza, tanto che chi onora un uomo nella sua debolezza onora lo stesso Signore Gesù e chi onora il Signore Gesù onora il Padre. I segreti di Dio sono ravvisabili in questa ‘equazione’, svelata nella sua bellezza dal Signore che per noi ha patito, è morto ed è risuscitato.

Quando accogliamo un uomo senza altra qualificazione se non quella della sua ‘umanità’, senza altro titolo di importanza o di merito o di demerito, allora accogliamo Gesù. E lo possiamo fare perché già abbiamo imparato a godere dell’intimità con il Padre, che in quella ‘umanità’ ha posto la sua compiacenza e di cui abbiamo potuto fare esperienza credendo al Figlio dell’Uomo dato per noi. Così diventare come bambini comporta l’esperienza di una umanità che non ha bisogno di altri titoli di gloria, proprio come davanti ai bambini non si guarda ad altro se non che sono bambini.

Se Giacomo, nella sua lettera, parla di una sapienza che viene dall’alto, indicandola come “pura, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia”, allude proprio a quella rivelazione che ha conquistato il cuore e che lo muove con la potenza del suo dinamismo. E quando, nella preghiera dopo la comunione, domandiamo che ‘la redenzione operata da questi misteri trasformi tutta la nostra vita’, in realtà preghiamo perché il nostro cuore si apra a quella rivelazione e ne sia conquistato.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Sap 2, 12.17-20

Dal libro della Sapienza

[Dissero gli empi:]

«Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo

e si oppone alle nostre azioni;

ci rimprovera le colpe contro la legge

e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.

Vediamo se le sue parole sono vere,

consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.

Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto

e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.

Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,

per conoscere la sua mitezza

e saggiare il suo spirito di sopportazione.

Condanniamolo a una morte infamante,

perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 53

Il Signore sostiene la mia vita.

Dio, per il tuo nome salvami,

per la tua potenza rendimi giustizia.

Dio, ascolta la mia preghiera,

porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.

Poiché stranieri contro di me sono insorti

e prepotenti insidiano la mia vita;

non pongono Dio davanti ai loro occhi.

Ecco, Dio è il mio aiuto,

il Signore sostiene la mia vita.

Ti offrirò un sacrificio spontaneo,

loderò il tuo nome, Signore, perché è buono.

Seconda Lettura  Gc 3,16-4,3

Dalla lettera di san Giacomo apostolo

Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.

Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.

 

Vangelo  Mc 9,30-37

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».