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Sesto ciclo

Anno liturgico B (2017-2018)

Tempo di Pasqua

II Domenica di Pasqua

(8 aprile 2018)

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At 4,32-35; Sal 117; 1 Gv 5,1-6; Gv 20,19-31

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Se la liturgia latina celebra la domenica della misericordia, quella bizantina la celebra come la domenica di Tommaso. Il giorno di Pasqua, giorno uno e non semplicemente primo della settimana, ad indicare l’inaugurazione di un tempo nuovo, ha come un completamento nel giorno ottavo quanto alla comprensione della risurrezione di Gesù. Possiamo dire, a causa dell’apostolo Tommaso, che non era presente quando Gesù compare ai compagni la sera di Pasqua. Gregorio di Nazianzo così esalta questa domenica: “Quella Domenica [Pasqua] è il giorno della salvezza, questa è il genetliaco della salvezza; quella è il confine tra la morte e la risurrezione, questa è chiaramente quello della seconda nascita, affinché, come la prima creazione ha avuto inizio dalla Domenica (è chiaro che il settimo giorno a partire da essa fu il Sabato, giorno di pausa per le fatiche), così anche la seconda inizi ancora da essa, che è il primo dei giorni che la seguono e l’ottavo di quelli che la precedono, più sublime del sublime, più ammirevole dell’ammirevole” (Orazione 44).

A differenza del proverbio popolare che, di Tommaso, ha ritenuto la sua incredulità e testardaggine, la liturgia ne coglie invece tutta l’audacia e l’ardore. Come proclama un’antifona della liturgia bizantina: “Attingendo ricchezza dall’inviolabile tesoro del tuo divino costato trafitto dalla lancia, Didimo ha riempito il mondo di sapienza e conoscenza”. La valenza simbolica del suo mettere la mano nel costato di Gesù è la medesima del reclinarsi di Giovanni sul petto di Gesù nell’ultima cena: “O straordinario prodigio! Giovanni ha riposato sul petto del Verbo, Tommaso ha ottenuto di toccare il suo costato: e l’uno ne ha tremendamente tratto l’abisso della teologia, mentre l’altro è stato reso degno di iniziarci alla manifestazione del mistero di Gesù, perché chiaramente ci presenta le prove della sua risurrezione”.

Tommaso non è un pavido, un insicuro. Le altre due volte che il vangelo di Giovanni parla di Tommaso ce lo presenta come un uomo generoso, pronto ad andare a morire con Gesù. Il suo dubbio procede da un cuore che ha preso così sul serio la vicenda di Gesù che non vuole illudersi. Quando Gesù gli dice di mettere la mano nel costato e nelle cicatrici, non ha bisogno di ricredersi o di scusarsi: si trova tutto teso a quel Signore che ha sempre voluto seguire e che ora riconosce per davvero: ‘mio Signore e mio Dio’, la più solenne professione di fede del vangelo di Giovanni e, nello stesso tempo, la più intima delle professioni. In quel mio, c’è tutto l’anelito del suo cuore, la sua appassionata esperienza di lui; in quel Signore e Dio, c’è tutta la rivelazione di Gesù al suo cuore, l’intelligenza di tutte le Scritture. È l’unica volta nei vangeli che Gesù è chiamato direttamente Dio.

Se, da parte di Gesù, il suo rivolgersi ai discepoli e poi a Tommaso con il mostrare le sue cicatrici significa: ‘sono proprio io, colui che per voi, per te, ha patito’, il riconoscimento da parte dei discepoli significa: ‘Dio ha proprio amato il mondo, le nostre vite hanno senso solo come risposta a quell’amore che in Gesù ha svelato il vero volto di Dio pieno di accondiscendenza per gli uomini, solo l’amore che da lui deriva e a lui si volge sazia il cuore’.

La frase conclusiva di Gesù: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” è spesso letta come un rimprovero nei suoi confronti, ma niente autorizza a leggerla così. Tommaso ha semplicemente avuto quello che è stato concesso agli altri apostoli e la cosa risponde alla promessa di Gesù nell’ultima cena: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi” (Gv 14,19-20).

Ma è singolare che la fede, alla fine del vangelo di Giovanni, sia presentata sotto il segno del senso del tatto e non della vista, come è tipico dell’evangelista Giovanni, rappresentato dalla tradizione con l’immagine dell’aquila dallo sguardo acutissimo. Mi sembra che si possa leggere la cosa in questo modo. La fede non ci porta oltre questo mondo in alto, ma ci mantiene quaggiù nella veracità dell’incontro con il Risorto, colto nell’esperienza realistica dei sensi che si è tradotta nell’aderire totalmente al Dio vivente e al suo Regno ormai toccabile. Quello che la professione di fede di Tommaso ci mostra: ‘mio Signore e mio Dio’, da pronunciare qui, nella storia nostra, perché qui è lo spazio della missione ricevuta da Gesù: ‘Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi’.

A dire il vero non si tratta di essere mandati nel mondo per fare qualche cosa. Il termine è usato in senso assoluto. Significa che il credente, in tutto ciò che fa, resta collegato, tramite Gesù, al mistero stesso del Padre, che aveva mandato Gesù per mostrare la grandezza del suo amore. A questo si riferisce l’annotazione della prima lettura: “Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” (At 4,33). Una bella preghiera della liturgia bizantina pasquale canta: “Giorno della risurrezione! Irradiamo gioia per questa festa solenne e abbracciamoci gli uni gli altri. Chiamiamo ‘fratelli’ anche quelli che ci odiano: tutto perdoniamo per la risurrezione e poi acclamiamo: Cristo è risorto dai morti, con la morte ha calpestato la morte ed ai morti nei sepolcri ha elargito la vita”. Questo opera lo Spirito Santo, quello che Gesù ‘soffia’ sugli apostoli la sera di Pasqua: renderci un corpo solo e un’anima sola, con lui e tra di noi. Da qui deriva la forza che rende credibile e convincente la proclamazione della risurrezione del Signore, che abita vivo nei nostri cuori e in mezzo a noi. Come sottolinea la prima lettera di Giovanni: è la gioia della risurrezione che sgombera i cuori da ogni timore e quindi da ogni attaccamento a se stessi rendendoli splendenti della compassione del Cristo per l’umanità, partecipi di quella pace che rivela la gloria di Dio tra gli uomini.

Il sigillo della rivelazione pasquale è la pace che Gesù Risorto ci offre. Si tratta della pace messianica, quella che racchiude tutti i doni di Dio rendendoceli disponibili. Gesù la proclama e la offre definendola in rapporto a tre cose:

1) in rapporto alle sue piaghe. Mentre dà la sua pace mostra le mani e il costato. Quella pace ci deriva dalle sue piaghe e le sue piaghe ci confermano che il Signore risorto è il Gesù che ha patito, tanto la sua passione e morte ha fatto risplendere l’amore di Dio per gli uomini. Sarà così anche per i suoi discepoli: è la condizione della condivisione della rivelazione del vangelo. La gioia della presenza del Signore risalterà proprio là dove il discepolo è chiamato al martirio in qualunque prova della vita.

2) in rapporto alla missione: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Non si tratta semplicemente del fatto che i discepoli sono inviati ad annunciare al mondo la buona notizia, ma del fatto che l’annunceranno nella stessa modalità nella quale Gesù l’ha annunciato e cioè che come Gesù non dice e non fa se non quello che sente e vede fare dal Padre (cf. Gv 5,19), così i discepoli nei confronti del loro Maestro.

3) in rapporto allo Spirito Santo, di cui Gesù ci ha ottenuto l’effusione sulla croce. L’opera dello Spirito è la riconciliazione con Dio ed energia di comunione. Se Luca, nella prima lettura, descrive la prima comunità cristiana con un cuor solo e un’anima sola, non tratteggia un idillio, ma ne rivela la tensione dinamica, la tensione di una vita nella fede del Risorto, che diventa radice di umanità nuova, la cui cifra è appunto la comunione.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  At 4,32-35

Dagli Atti degli Apostoli

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.

Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.

Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 117

Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

Dica Israele:

«Il suo amore è per sempre».

Dica la casa di Aronne:

«Il suo amore è per sempre».

Dicano quelli che temono il Signore:

«Il suo amore è per sempre».

La destra del Signore si è innalzata,

la destra del Signore ha fatto prodezze.

Non morirò, ma resterò in vita

e annuncerò le opere del Signore.

Il Signore mi ha castigato duramente,

ma non mi ha consegnato alla morte.

La pietra scartata dai costruttori

è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:

una meraviglia ai nostri occhi.

Questo è il giorno che ha fatto il Signore:

rallegriamoci in esso ed esultiamo!

Seconda Lettura  1 Gv 5, 1-6

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.

In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.

Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.

E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.

 

Vangelo  Gv 20, 19-31

Dal vangelo secondo Giovanni

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.