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SATANA DIFFAMA ABRAMO[1]

Benché in casa di Abramo vigesse così generosa la legge dell’ospitalità, accadde una volta che un pover uomo, o meglio un sedicente tale, venne congedato a mani vuote: e fu per questa ragione che Abramo subì l’ultima prova, e cioè il sacrificio del suo beneamato Isacco. Accadde il giorno in cui Abramo stava festeggiando la nascita di Isacco con un sontuoso banchetto cui aveva invitato tutti i notabili del tempo insieme alle loro mogli. Satana non manca mai di fare la sua comparsa alle feste cui non partecipa la povera gente, mentre si tiene lontano da quelle in cui sono invitati anche i meno abbienti: questa volta si presentò al banchetto di Abramo sotto le spoglie di un mendicante che bussa alla porta per chiedere l’elemosina. Si era reso conto che Abramo non aveva invitato poveri alla sua tavola, e quindi aveva deciso che quella casa era il posto giusto per lui.

Abramo stava in quel momento servendo i suoi illustri ospiti, mentre Sara persuadeva le loro mogli, le matrone, che Isacco era veramente figlio suo, e non un trovatello. Nessuno badò dunque a quel mendicante, il quale ebbe così modo di accusare Abramo al cospetto del Signore.

Un giorno i figli del Signore vennero a presentarsi a Lui, e fra loro c’era anche Satana, il quale, quando Dio gli domandò: “Donde vieni?”, Gli rispose: “Dal girare per la terra e dal passeggiare per essa” (Gb 1,7). Dio gli chiese ancora: “Cosa hai da dire a proposito dei figli dell’uomo sulla terra?”, e Satana rispose: “Ho visto tutti i figli dell’uomo sulla terra servirTi e ricordarsi di Te nel momento in cui hanno bisogno di qualcosa. Ma non appena Tu concedi loro ciò che essi Ti chiedono, Ti dimenticano e non sanno più chi Tu sia. Guarda Abramo, il figlio di Tare: finché non aveva figli, Ti prestava culto, costruiva altari sui quali Ti porgeva delle offerte, e proclamava instancabilmente il Tuo nome a tutti i figli dell’uomo! Ora che gli è nato suo figlio Isacco, Ti ha dimenticato. Ha indetto una grande festa per tutti gli abitanti del paese, ma il Signore l’ha dimenticato, con tutto quel che ha preparato, non ha pensato di presentarTi un’offerta, né un olocausto né un sacrificio di pace, né un agnello né un montone di tutti quelli che ha sgozzato per festeggiare l’anniversario dello svezzamento di suo figlio. Ma c’è di più: dal giorno in cui Isacco è nato sino a oggi, che ha trentasette anni, Abramo non ha costruito un solo altare per Te, non Ti ha più presentato una sola offerta: visto che gli avevi concesso quello che Ti chiedeva, Ti ha dimenticato”. Allora il Signore disse a Satana: “Pensi di conoscere il Mio servo Abramo? Sappi che non vi è nessuno come lui sulla terra, giusto e perfetto davanti a Me nel sacrificio, che teme Iddio ed evita il male. So per certo che quand’anche gli dicessi: Prendi Isacco, tuo figlio, e offrilo a Me, non Me lo rifiuterebbe; a maggior ragione, dunque, se gli chiedo di sacrificarMi in olocausto un capo di bestiame!”. Satana replicò: “E allora, chiedi ad Abramo proprio quello che hai detto, e vedremo se non verrà meno alle Tue parole”.

Dio intendeva mettere anche Isacco alla prova. Una volta infatti Ismaele lo aveva sbeffeggiato, vantandosi: “Avevo già tredici anni quando il Signore ha detto a mio padre di circonciderci, e non mi sono sottratto al comando a lui imposto”. Isacco aveva replicato: “Perché ti dài tante arie, ostentando come atto di obbedienza al Signore la tua rinuncia a un piccolo brandello di carne? Quanto è vivo il Signore, Iddio di mio padre Abramo, se Egli dovesse chiedergli: Prendi tuo figlio e offrilo a Me in sacrificio, non opporrei alcuna resistenza, e accetterei con gioia”.

IN CAMMINO VERSO IL MONTE MORIA

Il Signore decise così di mettere alla prova Abramo e Isacco. Disse al primo: “Prendi il tuo figlio” (Gn 22,2).

Abramo: “Ho due figli e non so quale di essi Tu mi ordini di prendere”.

Dio: “Il tuo unico” (loc. cit.).

Abramo: “Questo è unico per sua madre, e l’altro è unico per sua madre”.

Dio: “Quello che tu ami” (loc. cit.).

Abramo: “Li amo entrambi”.

Dio: “Isacco”.

Abramo: “E dove devo andare?”.

Dio: “Verso una terra che ti indicherò, dove offrirai Isacco in olocausto”.

Abramo: “Sono forse un sacerdote? Come potrei compiere un sacrificio? Non sarebbe meglio lo facesse Sem, il sommo sacerdote?”.

Dio: “Quando sarai giunto a destinazione, ti consacrerò sacerdote”.

Abramo disse in cuor suo: “Come farò a strappare mio figlio Isacco a sua madre Sara?”. Entrò nella tenda, si sedette di fronte a sua moglie, e le disse: “Mio figlio Isacco è diventato grande ormai, ma non ha ancora imparato come si presta culto a Dio. Perciò domani lo voglio portare da Sem e da suo figlio Eber, dove apprenderà le vie del Signore: gli insegneranno a conoscerLo, e a pregarLo di modo che possa rispondere, e a servire il suo Dio”. Sara rispose: “Ben detto. Va’ pure, mio signore, fa’ come desideri. Soltanto, non portarlo troppo lontano da me, non trattenerlo troppo a lungo, perché è come se io e lui fossimo un’anima sola”. Abramo disse ancora a Sara: “Figlia mia, preghiamo il Signore nostro Dio, così che sia benevolo con noi”. Sara prese Isacco, suo figlio, e restarono insieme per tutta la notte: lei lo baciava e lo abbraciava, e continuò sino al mattino a ripetergli mille raccomandazioni. Poi disse ad Abramo: “Mio signore, ti prego, abbi cura di tuo figlio, bada a lui: non ne ho altri, né maschi né femmine, all’infuori di Isacco. Non trascurarlo. Se ha fame dàgli del pane, se ha sete dàgli da bere; non farlo camminare, non lasciarlo bruciare sotto il sole, e che non vada da solo per strada; non negargli ciò che desidera, accontentalo, ti prego”.

Dopo aver trascorso la notte a singhiozzare per Isacco, Sara si alzò di buon mattino e scelse una delle vesti più belle e pregiate fra quelle che le aveva donato Abimelec. Con essa abbigliò suo figlio, poi gli mise in testa un turbante che aveva impreziosito con una gemma, e lo rifornì di provviste per il viaggio. Si avviò quindi con loro, li accompagnò fin sulla strada; avrebbe voluto vederli andar via, ma essi le dissero: “Torna alla tenda”. Udite le parole di suo figlio Isacco, Sara scoppiò in singhiozzi, e Abramo pianse con lei, e così Isacco, e con loro i servi che li accompagnavano. Fra le lacrime, Sara strinse suo figlio in un abbraccio e disse: “Chissà se ti rivedrò ancora”.

Sara e i servi tornarono alla tenda, Abramo e Isacco partirono piangendo. Li accompagnavano due giovani, Ismaele ed Eliezer, i quali, cammin facendo, cominciarono a conversare fra loro. Ismaele disse a Eliezer: “Dopo che mio padre Abramo avrà offerto Isacco in olocausto al Signore, darà a me tutto ciò che possiede e io sarò suo erede, perché sono il primogenito”. Eliezer replicò: “Abramo ti ha già cacciato via insieme a tua madre, giurando che non avrai parte alcuna nella sua eredità. A chi dunque lascerà tutto ciò che possiede, tutti i suoi beni, se non a quel servo che gli è stato sempre fedele, cioè a me, che l’ho accudito notte e giorno compiendo ogni suo volere?”. Allora lo spirito santo rispose: “Né l’uno né l’altro sarà l’erede di Abramo!”.

Lungo la strada, Satana apparve ad Abramo in guisa di un vecchio umile e dimesso, e gli disse: “Sei forse pazzo, che ti accingi a compiere un simile gesto su tuo unico figlio? Il Signore ti ha concesso un erede che già eri in così tarda età, e ora vorresti scannarlo benché non abbia fatto nulla di male? Vorresti far scomparire dalla faccia della terra l’unico figlio che hai? Come fai a non capire che una cosa del genere non può venire dal Signore? Iddio non commetterebbe mai un simile scempio contro un essere umano, non gli direbbe mai: Va’ a scannare tuo figlio!”. Nell’udire queste parole Abramo intuì che si trattava di un tentativo di Satana per farlo deviare dalle vie del Signore, e ordinò aspramente a l vecchio di andarsene. Il tentatore provò allora con Isacco, cui apparve sotto le sembianze di un giovane uomo cordiale e sorridente che gli disse: “Non sai che quel citrullo del tuo decrepito padre si appresta quest’oggi a ucciderti senza motivo? Mio caro, non ascoltarlo: è vecchio e sciocco, non devi permettergli di privare il mondo del tuo animo gentile e del tuo bell’aspetto”. Isacco riferì al padre questo discorso, e Abramo gli disse: “Stai in guardia da costui, non ascoltare quel che ti dice: è Satana che sta cercando di farci deviare dal comando di nostro Signore”. Scacciato ancora una volta, Satana si rese conto che con loro non sarebbe mai riuscito ad averla vinta; decise perciò di trasformarsi in un torrente impetuoso che allagava la strada. Giunti in quel punto, Abramo, Isacco e i due giovani si trovarono di fronte un corso d’acqua largo e tumultuoso, e vi si avventurarono nel tentativo di guadarlo: ma più avanzavano più il torrente si faceva profondo. Quando l’acqua arrivò loro al collo, furono colti dal panico. Abramo però riconobbe quel luogo, e si ricordò che prima non c’era mai stato alcun corso d’acqua; disse dunque a Isacco: “Conosco il posto, non c’è mai stato alcun torrente. Sono sicuro che è stata opera di Satana, intenzionato a distoglierci dai comandi di Dio”. Abramo richiamò dunque il tentatore, e lo ammonì: “Il Signore ti biasima, Satana. Vattene via, tienti lontano da noi che ci accingiamo a compiere la volontà divina”. Spaventato dalla voce di Abramo, Satana scomparve e il luogo tornò asciutto come prima. Abramo e Isacco si diressero così verso il luogo che Dio aveva indicato.

Satana allora, si travestì da uomo anziano, andò da Sara e la apostrofò: “Dov’è andato tuo marito?”. “A fare il suo lavoro” rispose la donna. “E tuo figlio Isacco?” insistette il vecchio. “Ha accompagnato suo padre in un posto dove si studia la Torah”. A questo punto Satana esclamò: “Povera donna che non sei altro! Ti si allegherebbero i denti per l’orrore, se sapessi che Abramo sta portando suo figlio al sacrificio!”. Nell’udire queste parole Sara ebbe un sussulto e cominciò a tremare in tutto il corpo. Non era più di questo mondo. Tuttavia, fattasi forza, riuscì a dire: “Per la vita e per la pace, faccia Abramo tutto ciò che il Signore gli ha prescritto”.

Dopo tre giorni di viaggio “Abramo alzò gli occhi e vide da lontano quel luogo” (Gn 22,4). In cima al monte notò una colonna di fuoco che si levava fino al cielo, e un denso nembo nel quale si scorgeva la gloria di Dio. Disse allora a Isacco: “Figlio mio, vedi anche tu ciò che vedo io, lassù su quel monte?”. Isacco rispose: “Io vedo una colonna di fuoco, e vedo una nuvola, e sulla nuvola appare la gloria del Signore”. Con ciò, Abramo seppe che Isacco era accetto quale offerta al cospetto di Dio. Chiese poi a Ismaele e Eliezer: “Vedete anche voi quello che vediamo noi in cima al monte?”: entrambi risposero: “Non vediamo nulla di diverso che sulle altre vette”, dal che Abramo seppe che non erano accetti al cospetto di Dio e che non dovevano perciò salire insieme a loro. Ordinò dunque: “Rimanete qui con l’asino” (Gn 22,5), voi che siete come lui, così corti di vista. Io e mio figlio Isacco andremo fin lassù, adoreremo il Signore e questa sera stessa torneremo da voi”. Era stata, questa, una profezia inconsapevole, poiché Abramo aveva preannunciato che entrambi sarebbero ridiscesi dal monte. Eliezer e Ismaele restarono dove Abramo aveva ordinato, mentre padre e figlio si avviarono.

IL LEGAMENTO

Mentre erano in cammino, Isacco domandò a suo padre: “Ecco, vedo il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello da offrire in olocausto al Signore?”. E Abramo rispose a suo figlio: “Iddio ha scelto te, figlio mio, per olocausto, invece dell’agnello”. Isacco allora concluse: “Farò tutto ciò che dice il Signore, con gioia e serenità d’animo”. Ma Abramo continuò: “Covi forse in cuore un qualche turbamento per tutto questo? Dillo, figlio mio, ti prego! Non celarmi nulla!”. Isacco rispose: “Per quanto è vivo il Signore, e per quanto è viva l’anima tua, giuro che nulla dentro di me mi induce a deviare a destra o a sinistra da quanto Egli ti ha ordinato. Non un fremito ha scosso le mie membra, nessun pensiero malvagio mi ha sfiorato. Vado incontro a quel che mi aspetta lieto e sereno, e dico: Benedetto sia il Signore che quest’oggi ha scelto me come Suo olocausto”.

Rallegrato dalle parole del figlio, Abramo lo condusse fino al luogo di cui il Signore aveva parlato. Raggiunta la sommità, il padre si accinse a erigere l’altare per il sacrificio, mentre Isacco lo aiutava porgendogli pietre e malta. Terminato il lavoro, Abramo prese la legna e la sistemò sull’altare, poi, prima di adagiare il figlio sulla pira e scannarlo quale olocausto al Signore, lo legò. Gli disse allora Isacco: “Padre, presto, snuda la tua arma e legami ben stretto, mani e piedi: io sono un uomo giovane, ho appena trentasette anni, mentre tu sei vecchio. Non vorrei, nel vedere il coltello nella tua mano, esser colto dal panico e respingerti, spinto da quella forza indomabile che è l’istinto di sopravvivenza. Così facendo potrei anche procurarmi una ferita, una lesione che mi renderebbe inidoneo al sacrificio. Ti prego, padre mio, affrettati a compiere il volere del Signore, non indugiare. Rimboccati la veste, cingiti i lombi, e dopo avermi scannato bruciami finché non sarò polvere; poi prendi le mie ceneri, portale a mia madre Sara e lasciale da lei, dentro un’urna: ogni volta che entrerà nella sua stanza, si ricorderà di suo figlio Isacco, e piangerà”.

Isacco aggiunse: “Dopo che mi avrai sgozzato e ti sarai separato da me, dovrai andare da Sara, mia madre, che ti chiederà: Dov’è mio figlio Isacco? Allora, cosa le dirai? Cosa ne sarà di voi, che siete così vecchi?”. E suo padre gli rispose: “Sappiamo bene che, dopo la tua dipartita, brevi saranno i nostri giorni, Colui che ci è stato di conforto prima che tu nascessi, ci consolerà anche d’ora in poi”.

Dopo aver disposto la legna e legato Isacco sull’altare, sopra la pira, Abramo gli assicurò le braccia, si rimboccò la veste e premette forte su di lui con le ginocchia. Iddio, seduto su Suo trono eccelso, vide come i loro due cuori diventavano uno solo, vide le lacrime di Abramo che cadevano su Isacco, e quelle di Isacco che cadevano sull’altare, inondato del pianto di entrambi. E nel momento in cui Abramo stese la mano e prese il coltello per sgozzare suo figlio, Dio disse agli angeli: “Avete visto come il mio amato Abramo proclama nel mondo l’unicità del Mio Nome? Se al momento della creazione, quando diceste: “Che è l’uomo da ricordarTi di lui, il figlio dell’uomo ché Tu ne debba aver cura” (Sal 8,5), vi avessi prestato ascolto, chi Mi avrebbe più celebrato nel mondo?”. Gli angeli scoppiarono allora in un pianto accorato, esclamando: “’Sono deserte le strade, non c’è chi cammini per via, egli ha violato il patto’ (Is 33,8). Dov’è dunque la ricompensa di Abramo, lui che ha accolto tutti i viandanti nella sua casa, che ha dato loro da bere e da mangiare, che li ha accompagnati sin sulla strada? È dunque violato quel patto con cui Tu dicesti: ‘È da Isacco che uscirà la progenie che porterà il tuo nome’ (Gn 21,12), e ancora: ‘Ma il mio patto lo stabilirò con Isacco’ (Gn 17,21)? E ora guarda: il coltello incombe sulla sua gola!”.

Le lacrime degli angeli andarono a posarsi sul coltello, smussandone la lama, ma in quel momento il terrore si impadronì d’Isacco, ed egli esalò l’anima. Allora Dio disse all’arcangelo Michele: “Cosa resti a fare qui? Non permettere che sia ucciso!”. Senza un attimo di indugio, Michele gridò ad Abramo: “Abramo! Abramo! Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male!” (Gn 22,11-12). Il patriarca rispose: “È stato il Signore a ordinarmi di sgozzare Isacco: e tu ora vieni a dirmi di non farlo?! Fra le parole del maestro e quelle dell’allievo, quali bisogna ascoltare?”. Poi Abramo udì ancora: “Io giuro per me stesso, oracolo del Signore, poiché tu hai fatto questo, e non hai rifiutato il tuo figlio, il tuo unico, io ti colmerò di benedizioni, moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la rena che è sulla spiaggia del mare e la tua discendenza possederà la porta dei suoi nemici e nella tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra, in premio dell’aver obbedito alla mia voce” (Gn 22,16-18).

Finalmente Abramo lasciò Isacco, reso alla vita dalla voce celeste che aveva fermato il gesto di suo padre. Slegato che fu, Isacco si alzò in piedi e recitò questa benedizione: “Benedetto sii Tu, Signore nostro Dio che fai resuscitare i morti”.

Allora Abramo disse a Dio: “Ma come posso andarmene di qui senza offrire un sacrificio?”. Dio rispose: “Alza gli occhi, voltati, e vedrai la vittima dietro di te”. Abramo ubbidì e, impigliato fra i rovi, scorse quel capro che Dio aveva creato all’approssimarsi del primo sabato del mondo, destinandolo sin da allora a servire da olocausto in luogo di Isacco. L’animale stava correndo incontro ad Abramo, quando Satana l’aveva agguantato intrappolandolo con le corna fra le spine, così che non raggiungesse il patriarca. Abramo lo liberò dal cespuglio e lo portò sull’altare, immolandolo al posto di Isacco. Ne spruzzò poi il sangue sulla mensa e proclamò: “Signore, la vittima che Ti presento tiene luogo di mio figlio: valga per Te questo sangue come se fosse il suo”. E il patriarca continuò ad accompagnare ogni gesto che compiva all’altare con queste parole: “È in luogo di mio figlio, Signore. Ti valga come se fosse lui”. Dio accettò il sacrificio del capro, come se fosse stato Isacco a salire sull’altare.

Non meno straordinario della creazione di questo animale fu l’uso cui venne destinata la sua carcassa. Nulla infatti andò sprecato: le ceneri delle parti arse in olocausto formarono le fondamenta dell’altare del Tempio, dove ogni anno, nel giorno del Digiuno di Espiazione, si celebrava con un sacrificio la ricorrenza del legamento di Isacco; i nervi divennero le corde dell’arpa di Davide, la pelle servì a Elia da cintura, mentre dei due corni uno annunciò l’avvenuta rivelazione al monte Sinai, e l’altro proclamerà invece la fine dell’Esilio: “ Si darà fiato alla grande tromba e verranno gli sperduti nel paese dell’Assiria e i dispersi nella terra d’Egitto: ed essi adoreranno il Signore sul monte santo in Gerusalemme” (Is 27,13).

Quando Dio ordinò ad Abramo di desistere dal sacrificare suo figlio, questi esclamò: “Un uomo può metterne un altro alla prova, perché non conosce quello che ha nel cuore. Ma Tu per certo sapevi che ero pronto a sacrificare Isacco!”.

Dio: “Mi era noto e manifesto che non Mi avresti negato neppure la tua anima”.

Abramo: “E allora, perché mi hai torturato in questo modo?”.

Dio: “Era Mio desiderio che il mondo ti conoscesse e si convincesse che non senza ragione avevo scelto te fra tutte le nazioni: ora il genere umano è testimone che tu temi Iddio”.

Poi il Signore aprì i cieli, e Abramo udì queste parole: “Io giuro per me stesso!” (Gn 22,16).

Abramo: “Se giuri Tu, giuro anch’io, ma non lascerò questo luogo prima di aver detto quel che ho da dire”.

Dio: “Parla!”.

Abramo: “Non mi avevi forse promesso che dai miei lombi sarebbe uscito un figlio la cui stirpe avrebbe riempito il mondo intero?”.

Dio: “Sì”.

Abramo: “Che intendevi?”.

Dio: “Isacco”.

Abramo: “Non mi avevi forse promesso di rendere la mia progenie numerosa come la sabbia sulla riva del mare?”.

Dio: “Sì”.

Abramo: “Tramite quale dei miei figli?”.

Dio: “Tramite Isacco”.

Abramo: “Dunque, avrei potuto rimproverarTi, dire: Sovrano del mondo, un giorno mi dici che la mia stirpe porterà il nome di Isacco, e un altro invece: Prendi tuo figlio, il tuo unico, Isacco, e offrilo in olocausto. Ma mi sono trattenuto, sono rimasto zitto. Perciò, quando i discendenti di Isacco commetteranno dei peccati che saranno per loro fonte di disgrazie, Tu potresti ricordarti del loro padre, perdonare la trasgressione e affrancarli dal dolore”.

Dio: “Hai detto quel che avevi da dire, e ora tocca a Me. Quando, nel tempo a venire, i tuoi figli peccheranno al Mio cospetto, Io li giudicherò nel giorno del Capodanno. Se vorranno il mio perdono, in quel giorno suoneranno il corno di montone e Io, memore dell’animale che ha sostituito Isacco nel sacrificio, perdonerò i loro peccati”.

Il Signore rivelò inoltre ad Abramo che il Tempio, costruito in seguito nel luogo del sacrificio di Isacco, sarebbe andato distrutto, e così come il capro sacrificato al posto di Isacco si districava da un arbusto solo per finire impigliato in un altro, allo stesso modo i discendenti di quest’ultimo sarebbero passati da regno a regno: affrancati da Babilonia sarebbero diventati succubi della Media, liberati dalla Media sarebbero stati ridotti in servitù dai Greci, svincolati dai Greci avrebbero conosciuto il giogo di Roma. Tuttavia il suono del corno di montone avrebbe un giorno annunciato la redenzione finale, allorquando “il Signore Iddio suonerà la tromba, s’avanzerà con gli uragani del meridione” (Zc 9,14).

L’altare di Abramo era sorto esattamente là dove Adamo aveva presentato il suo primo sacrificio, e Caino e Abele avevano offerto a Dio i loro doni – e nello stesso posto aveva eretto un altare anche Noè, una volta uscito dall’Arca. Consapevole che un giorno vi sarebbe sorto il Tempio, Abramo chiamò quel luogo Ir’eh, poiché esso era destinato quale sede perpetua del timore di Dio, del Suo culto. Ma dato che già Sem gli aveva dato un nome, e cioè Salem, “luogo della pace”, il Signore, non volendo urtare né l’uno né l’altro, unì i due appellativi; e fu così che la città si chiamò Iršalem, Gerusalemme.

Dopo che tutto fu compiuto, Abramo se ne tornò a Bersabea, il luogo che gli aveva dato tante gioie. Isacco fu portato dagli angeli in paradiso, dove rimase per tre anni. Dunque Abramo tornò a casa solo, e Sara, quando lo scorse, esclamò: “Allora Satana non mi aveva mentito dicendo che Isacco era stato sacrificato!”, e tanto si disperò che l’anima abbandonò il suo corpo.


[1] Brano tratto da: Louis GINZBERG, Le leggende degli ebrei, vol. II, Da Abramo a Giacobbe, Adelphi, Milano 1997, a cura di Elena Loewenthal, (pagg. 91-103).