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Quinto ciclo

Anno liturgico C (2015-2016)

Tempo Ordinario

XV Domenica

(10 luglio 2016)

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Dt 30, 10-14; Sal 18; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37

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Il brano di vangelo conferma l’affermazione del Deuteronomio: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te….Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”. La parola del Signore, il suo comandamento è ‘vicino’ a noi. Vuol dire due cose: è accessibile a noi, non è qualcosa di complicato o assurdo o inarrivabile; nello stesso tempo, è adatto a noi, corrisponde al nostro cuore, nel senso che fa vivere il cuore, ne compie gli aneliti profondi. Ma allora perché facciamo così resistenza al suo comandamento nella nostra vita?

Già il testo del Deuteronomio lo sottolinea: la parola del Signore ti è vicina, “perché tu la metta in pratica”. Vale a dire: il comandamento non rivela il suo segreto se non praticandolo. Non lo puoi praticare se non lo accogli da dentro un’alleanza col tuo Dio, ma non lo puoi comprendere se non praticandolo e così cogliere il gusto di quell’alleanza con Dio che si era prima appena percepita.

Il brano di vangelo non fa che riprendere, sviluppandolo, lo stesso concetto. Il testo di Luca, come quello parallelo di Matteo, pone la domanda del dottore della legge sotto un’angolatura negativa. Il dottore della legge vuole mettere alla prova Gesù. Il brano parallelo di Marco invece sottolinea la buona fede del dottore della legge. Potremmo interpretare così. Ammettiamo che la domanda del dottore della legge: “Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” nasconda un tranello per Gesù. Comunque la domanda è ben posta. La comprensione segue sempre la pratica. Quando lo scriba risponde alla domanda di Gesù, risponde bene: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso“. Allora lo scriba rincalza: “E chi è mio prossimo?“, vale a dire: chi devo trattare da prossimo, chi devo considerare mio prossimo? Questa volta però la domanda è posta male e tradisce la sua cattiva intenzione. Chiedere chi debba trattare da prossimo vuol dire ammettere che l’uomo possa fare distinzioni tra i suoi fratelli; vuol dire che l’uomo si pone al di sopra di Dio, per il quale tutti sono suoi figli e per i quali Gesù offrirà la sua vita. Ma così facendo non potrà più conoscere in verità il volto di Dio, che è Padre.

Se invece ammettiamo che le intenzioni del dottore della legge siano buone, la prima domanda è sempre posta bene, mentre la seconda nascerebbe dalla constatazione: se ho risposto bene, perché non gusto ancora quella vita eterna che cerco? Cosa mi manca? E pone la seconda domanda: chi è mio prossimo? Comunque la domanda è posta male, ma per conoscere in verità ciò che Dio pensa. Gesù, con la sua parabola, restituisce al dottore della legge l’ottica giusta, quella di Dio: non si tratta di sapere chi sia o non sia prossimo per me, su chi debba riversare il mio amore, ma agire da prossimo con chiunque, anche con i nemici o gli avversari. “Va’, e anche tu fa’ così”, come il buon samaritano che si è mosso a compassione vedendo un uomo ferito sulla strada.

La parabola però non finisce qui, almeno quanto al suo significato. Ogni parabola è un’illustrazione dell’agire di Dio, una raffigurazione dei sentimenti e dell’agire di Gesù, venuto a rivelare l’amore di Dio agli uomini. Il buon samaritano è Lui stesso, che ha lasciato le 99 pecore (gli angeli) al sicuro ed è venuto a cercare la pecora (l’uomo) perduta. Così, l’agire in compassione fa ereditare la vita eterna perché assimila a Dio, rende simili al Cristo e ne svela al nostro cuore la bellezza. L’esito del comandamento dell’amore al prossimo non è semplicemente di far star bene il prossimo, se possibile, ma di ottenerci la rivelazione del volto di Dio, compimento dei desideri del nostro cuore.

Qui sta anche racchiusa la legge dell’intelligenza spirituale delle Scritture. La parola di Dio non è pronunciata perché la si capisca, ma perché la si metta in pratica. Sarà la pratica a portare quella conoscenza che il cuore desidera. La parola suggerisce una possibilità di pratica che porterà alla comprensione, la quale poi farà ritornare con più desiderio alla parola per vedervi nuove possibilità di pratica e così via. Così, davanti alla parola, al comandamento, è mal posta la domanda: cosa vuol dire? Dovremmo dire: qual è il mistero che nasconde di cui diventare partecipi mettendola in pratica? E allora comprenderemmo dal di dentro la benedizione di Gesù per i discepoli che immediatamente precede il nostro brano: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono“. È la benedizione per chi cerca la vita eterna e la gusta.

Lo rivela anche il salmo 18 con il proclamare: “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice. I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi”. Come dicessimo: ho scoperto che la legge del Signore è perfetta perché rende noi perfetti rendendoci pieni di vigore; che è salda perché rende noi veri e saggi; che è retta perché ci fa giusti in letizia; che è limpida perché rende puro il cuore e gli occhi luminosi, ecc. La parola del Signore ristora l’anima, dà gusto all’intelligenza, gioia al cuore e luminosità agli occhi. Come a dire: è la parola del Signore, cioè la vita che deriva da lui, a costituire la fonte del ristoro (pace), del gusto (sapienza, senso), della gioia e della luminosità per i nostri cuori. E tutto questo si sperimenta accettando di condividere l’agire di Dio per gli uomini: farsi prossimo a tutti.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura Dt 30, 10-14

Dal libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.

Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 18

I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

La legge del Signore è perfetta,

rinfranca l’anima;

la testimonianza del Signore è stabile,

rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,

fanno gioire il cuore;

il comando del Signore è limpido,

illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,

rimane per sempre;

i giudizi del Signore sono fedeli,

sono tutti giusti.

Più preziosi dell’oro,

di molto oro fino,

più dolci del miele

e di un favo stillante.

Seconda Lettura Col 1, 15-20

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,

primogenito di tutta la creazione,

perché in lui furono create tutte le cose

nei cieli e sulla terra,

quelle visibili e quelle invisibili:

Troni, Dominazioni,

Principati e Potenze.

Tutte le cose sono state create

per mezzo di lui e in vista di lui.

Egli è prima di tutte le cose

e tutte in lui sussistono.

Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.

Egli è principio,

primogenito di quelli che risorgono dai morti,

perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.

È piaciuto infatti a Dio

che abiti in lui tutta la pienezza

e che per mezzo di lui e in vista di lui

siano riconciliate tutte le cose,

avendo pacificato con il sangue della sua croce

sia le cose che stanno sulla terra,

sia quelle che stanno nei cieli.

 

Vangelo Lc 10, 25-37

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».