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Quinto ciclo

Anno liturgico C (2015-2016)

Tempo di Natale

Santa Famiglia

(27 dicembre 2015)

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1 Sam 1,20-22.24-28;  Sal 83;  1 Gv 3,1-2.21-24;  Lc 2,41-52

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È significativo che la Chiesa non celebri l’incarnazione del Figlio di Dio in generale, ma dentro una singola famiglia della famiglia umana. Per quanto misteriosa e singolare sia questa famiglia, è proprio a questa famiglia che tutte le altre famiglie possono guardare per comprendere e vivere il loro stesso mistero. Si tratta del mistero che io definirei dell’obbedienza all’amore. Parlo di obbedienza prima che di amore perché l’amore costituisce l’esito di un’obbedienza confidente.

Per porre la sua tenda tra di noi, Dio ha assunto la storia di una determinata genealogia (Gesù è ascritto alla discendenza davidica), carica delle promesse divine ma intessuta anche di peccato e di miserie umane e ha assunto pure la struttura che ha consentito a quella storia di svolgersi, cioè la famiglia, con il suo carico di drammi e di violenze. Anche per Gesù, che è nato da una Vergine, è stato essenziale il contesto famigliare per crescere e scoprire il senso della sua vita. E tutto questo ha attinenza non solo con il bisogno dell’uomo, ma con il mistero di Dio. Voglio dire che il fatto che Gesù abbia avuto una famiglia non significa solo che Dio abbia voluto assumere la realtà umana della famiglia, ma ancor più che la famiglia nella sua realtà umana parla di Dio. Con tutti i misteri che comporta, per i figli e per i genitori, nella gamma delle situazioni drammatiche in cui si vive la vita, con la storia degli abbandoni, dei conflitti e delle riconciliazioni sperate e cercate.

Nel racconto del ritrovamento al tempio di Gesù da parte dei suoi genitori ne abbiamo un indizio rivelatore. Al padre e alla madre che lo cercavano angosciati Gesù non teme di rispondere: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Altre volte nel vangelo Gesù risponderà con questo tono a sua madre. Quando gli dicono che lo cercano sua madre e i suoi fratelli, egli dichiara: “Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). Oppure, a Cana, durante il banchetto di nozze, a sua madre che lo sollecitava ad intervenire risponde: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4). Gesù rimanda continuamente, da dentro gli affetti familiari, ad una dimensione ancor più profonda che costituisce la radice stessa di quegli affetti e la garanzia più sicura. Rimanda cioè a quel ‘Padre’, di cui ogni affetto parla, al quale ogni affetto rimanda e nel quale ogni affetto trova la sua radice più appropriata ed il termine verso il quale ogni affetto anela.

Gli orizzonti sono mantenuti larghi, è un continuo andare oltre la cronaca e la materialità degli eventi, dentro la necessità e la difficoltà di un superamento continuo di quello che si pensava ovvio. Tutti i genitori conoscono questa ambivalenza nella crescita dei figli: fanno tutto per i figli e la loro gioia sta in questo, ma sanno che i figli sono chiamati a realizzare un loro progetto, spesso senza poterlo condividere o comunque senza che siano necessariamente resi partecipi. Ma corrisponde al progetto di Dio sia la premura dei genitori che la libertà dei figli e se entrambi, genitori e figli, sono consapevoli di questa unità di progetto in Dio, tutti e due trovano la loro gioia, misteriosamente. Diventa così essenziale, per i genitori e per i figli, la consapevolezza della verità di questo rimando. La comprensione non è immediata, ma è assicurata. Della Vergine si annota nei vangeli: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).

Non comprendere subito il piano di Dio non significa non accoglierlo. Trattenere perciò eventi e parole, misteriosi, che vengono da Dio, significa accogliere in cuore il suo piano in attesa di comprenderne il senso. E questo vale soprattutto negli affetti, negli affetti familiari in particolare, quando la forza del legame farebbe valere il legame tra madre e figlio, a volte in senso perfino ricattatorio e non invece con Colui che di quel legame è la Sorgente ed il Criterio di verità. Se un legame non sta aperto ad un progetto superiore rischia di soffocare.

Forse non è inutile sottolineare che la prima e l’ultima parola di Gesù nel vangelo di Luca è una evocazione del Padre. Nel tempio, quando è ritrovato dai suoi genitori: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49); sulla croce, prima di morire: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46); oppure, prima dell’ascensione: “Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso” (Lc 24,49). Gesù fa vedere come in tutto ciò che vive, in tutto ciò che possiamo vivere noi, quello che è essenziale è scoprire e far valere la radice di vita, di senso, di sentimenti, che è il Padre dei cieli, Colui dal quale ogni bene riceviamo e verso il quale porta ogni bene vissuto. Senza questo ‘sconfinamento’, da dentro i legami degli affetti, l’uomo si insacca su se stesso e non trova più slancio e passione per un progetto grande di vita. In altre parole, non ritrova più lo Spirito donato da Gesù.

Lo dice assai bene la seconda lettura tratta dalla prima lettera di s. Giovanni: “Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato” (1Gv 3,24). In altri termini, osservare i comandamenti risulta possibile in forza dello Spirito che ci fa una cosa sola con Gesù, nel quale abita la pienezza della divinità. E lo Spirito è Colui che continuamente tiene aperti gli orizzonti verso il Padre, tanto in Gesù quanto in noi perché il desiderio di comunione di Dio con gli uomini si compia finalmente. Così è stato per la santa famiglia di Nazareth, così è stato per Gesù e così è per noi tutti. E solo così gli uomini possono vivere i loro affetti senza sottrarre loro quel vigore e quello slancio che li apre ad aneliti sempre più profondi e veritieri, dentro un’umanità così larga di orizzonti da sentire tutti della stessa famiglia.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  1 Sam 1,20-22.24-28

Dal primo libro di Samuele

Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».

Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 83

Beato chi abita nella tua casa, Signore.

Quanto sono amabili le tue dimore,

Signore degli eserciti!

L’anima mia anela

e desidera gli atri del Signore.

Il mio cuore e la mia carne

esultano nel Dio vivente.

Beato chi abita nella tua casa:

senza fine canta le tue lodi.

Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio

e ha le tue vie nel suo cuore.

Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,

porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.

Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,

guarda il volto del tuo consacrato.

Seconda Lettura  1 Gv 3,1-2.21-24

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Pa­dre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.

Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi coman­damenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In que­sto conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

Vangelo  Lc 2,41-52

Dal vangelo secondo Luca

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.

Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.

Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.

Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.